Skip to main content

Bret Baier, Armando Varricchio e Giovanna Pancheri all’Urbino Press Award 2018. Le foto

1 / 20
Bret Baier
2 / 20
Gabriele Cavalera, Bret Baier, Roberto Cioppi, Giovanni Lani
3 / 20
Gabriele Cavalera, Bret Baier e Giovanni Lani
4 / 20
Gabriele Cavalera, Giovanni Lani, Bret Baier, Armando Varricchio, Roberto Cioppi
9 / 20
Giovana Pancheri e Bret Baier
14 / 20
Bret Baier
18 / 20
Sebastiano Rotella e Michael Weisskopf
baier
19 / 20
Tom Toles e Bret Baier
20 / 20
Michael Weisskopf, Bret Baier e Sebastiano Rotella
baier

Urbino, la città di Raffaello e del Rinascimento, dal 2006 individua i migliori giornalisti americani e li premia. Nel palazzo ducale, gioiello dell’architettura voluto dai Montefeltro, i grandi reporter d’America ogni anno raccontano gli scenari contemporanei nelle stesse sale dove discutevano e lavoravano, Piero della Francesca, Baldassarre Castiglione, Torquato Tasso e anche star dell’arte europea attirati dalla vita di questa corte così particolare. Nel 2018 Urbino ha scelto come miglior voce d’America quella di Bret Baier, Chief Political Anchor di Fox News. L’annuncio della scelta del suo nome è avvenuta, come di consuetudine, a Washington Dc, con un ricevimento a Villa Firenze, residenza dell’Ambasciatore d’Italia negli Usa, Armando Varricchio. Per Baier la serata dell’annuncio è stata l’occasione per chiamare a raccolta, insieme alla moglie, i colleghi più cari come la conduttrice Martha MacCallum e amici quali l’ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti negli Usa, Yousef al Otaiba, l’ambasciatore dell’Australia negli Usa, Joe Hockey, dirigenti di Fox. A condurre un talk show con Baier sui temi più caldi è stata Giovanna Pancheri, inviata negli Usa di Sky Tg 24 e tra il pubblico non mancavano alcuni ex vincitori del Premio come Michael Weisskopf (che perse un braccio in Iraq mentre scriveva per Time l’articolo sull’Uomo dell’anno), Sebastian Rotella (di Pro Publica, giornalista investigativo e scrittore).

«Ho iniziato a lavorare nella televisione locale, nell’Illinois – racconta Baier –. Poi nel 1998 sono stato assunto da Fox News nell’ufficio di Atlanta e nel 2001 in occasione degli attentati dell’11 settembre mi sono spostato a Washington per coprire l’attacco al Pentagono. Da quel momento non sono più tornato ad Atlanta, ma sono rimasto a Washington come corrispondente dal Pentagono dove sono rimasto per cinque anni durante i quali ho fatto undici viaggi in Afghanistan e tredici in Iraq. Nel 2007 sono stato nominato corrispondente dalla Casa Bianca e poi dalla fine del 2007 ho iniziato a sostituire Brit Hume che era il conduttore di Special Report. Da quel momento sono andato avanti». Il sorriso di Baier è sempre aperto e smagliante (su Facebook c’è persino un gruppo con mille aderenti dedicato al “miglior sorriso della tv americana”, ovvero… quello di Baier) e la sua vocazione a informare e non commentare è ribadita costantemente. Cosa è più difficile, fare il corrispondente di guerra o seguire Washington oggi? gli è stato chiesto.

«Coprire Washington oggi è molto più complicato che non lavorare in una zona di guerra. In merito al dibattito di questi ultimi periodi sulle fake news, la mia idea è che lo sforzo maggiore è proprio quello di dover essere sempre pronti a controllare le notizie, e dover usare energie per diffondere la professione del giornalismo. Bisogna essere responsabili sempre, molto equilibrati e non lasciarsi coinvolgere in modo emozionale dai temi che si tratta».

E quale è stato il suo rapporto con gli inquilini della Casa Bianca? «Nella mia carriera – ha raccontato – ho conosciuto tre presidenti, Bush, Obama e Trump. Di Bush ricordo il modo di essere molto coinvolgente nel rapporto diretto, meno efficace durante le conferenze stampa ufficiali. Di Obama l’atteggiamento sempre un po’ professorale quando parlava con la stampa, puntando a volare alto senza soffermarsi sui dettagli. Con Trump la difficoltà è riuscire a interromperlo, il presidente parla con una grande velocità. Tutti e tre sono stati sfide professionali».

L’Italia è il paese che i Baier amano di più, ma anche professionalmente il giornalista americano non ha perso occasione di approfondire la politica di casa nostra. «Ho incontrato e intervistato Renzi, Gentiloni e Conte. Sono molto interessato all’Italia, ho anche incontrato Papa Francesco e secondo me il presidente del consiglio attuale nel suo viaggio negli Usa ha ottenuto esiti molto positivi nel contatto con il presidente Trump».

Pancheri gli chiede anche di parlare di giornalismo e social media; per lui che è nato nel 1970 il fenomeno dei nuovi media è stato acquisito da un’eredità ancora analogica. «La gente ormai è abituata a interagire attraverso i social e quindi anche i giornalisti ne devono tenere conto. Bisogna considerare ormai che siamo nell’era del on demand per cui anche la tv dal suo punto di vista dovrà tenere conto di questo approccio del pubblico. I social e questo tipo di mentalità sono entrati nella nostra vita; dobbiamo essere sempre molto veloci anche considerando il fatto che negli Usa abbiamo un presidente che con i social è sempre in prima fila».

Dal pubblico degli invitati, il vignettista Tom Toles del Washington Post che era al tavolo con lui (si sono sfidati di fronte a un dilemma: “Quante cose in comune possiamo elencare?”) si lancia sul tema dei cambiamenti climatici. Fox come seguirà questo tema? «Una parte della politica americana – ha concluso Baier – sui cambiamenti climatici e inquinamento sostiene che se questo tema si tiene in considerazione in un certo modo genera un danno alla economia americana. Io però seguo il tema con attenzione, mi occupo di news e quindi me ne occupo con grande equilibrio anche se sappiamo che per altri il clima non è al centro di tutto».

Baier verrà in Italia all’inizio della primavera per ricevere fisicamente il Premio organizzato da Comune, Regione, istituzioni locali e Centro Studi Americani per tenere la sua lezione nel salone del Trono. Quello dove sicuramente Raffaello da bambino avrà fatto tante corse quando al seguito del padre pittore andava a corte.



×

Iscriviti alla newsletter