Due anni di pandemia hanno radicato un antico pregiudizio in larga parte dell’opinione pubblica occidentale. Una sola notte è bastata a spazzarlo via. I carri armati inviati da Mosca in Ucraina, con un’invasione militare di uno Stato libero di ottocentesca memoria, sono stati un brusco risveglio. E le immagini che arrivano da Kiev, Kharkiv, Mariupol, le colonne di civili in fuga e l’ospedale pediatrico sotto le bombe, ci interrogano, sfidano quel pregiudizio.
Vale ancora la pena parlare di democrazia? Difenderla, rivendicarla, magari non solo a parole ma se necessario imbracciando le armi come in queste ore nelle strade e nei vicoli ucraini? Dal Centro Studi Americani di Roma giovedì, durante il convegno “Healing democracies” organizzato in partnership con Rai Cultura, Rai Storia e il Robert Kennedy Human Rights, è risuonata una risposta netta. “Di fronte agli eventi di queste settimane ho riletto Samuel Huntington: la democrazia è davvero un “malato cronico”?”, si chiede in apertura il presidente del centro Gianni De Gennaro. “Io credo di no. La forza, la salute di una democrazia non sta nella sua immutabilità ma nella capacità di adattarsi di continuo alle nuove sfide della società senza rinunciare ai suoi valori fondanti, alla libertà e al rispetto delle regole condivise”.
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(c) Umberto Pizzi – Riproduzione riservata