Help è divenuto purtroppo, da un paio d’anni, uno dei termini più impiegati e abusati del nostro quotidiano. Maria Cristina Finucci lo aveva compitato in tempi meno sospetti, sin dal 2016, e con caratteri così grandi da poter essere percepiti da un satellite di passaggio. Lo aveva scritto sul bordo di Mozia, un’isoletta davanti a Marsala, accanto ai resti di una città fenicia: e quella parola indicava allo stesso tempo un’altra e più grande città, la provvisoria capitale del Garbage Patch State, e un’altra archeologia, quella dell’età della plastica.
La plastica, soprattutto quella scaricata con noncuranza negli oceani, è il filo conduttore dell’impresa che Finucci ha avviato nove anni fa: quando ha inventato e ha fatto riconoscere uno stato, ha creato un’ambasciata negli spazi esterni del Maxxi, allestito un padiglione nazionale alla Biennale di Venezia, promosso apparizioni inquietanti a Parigi (la prima nella sede dell’Unesco), a New York, a Milano (più volte), nei Fori Imperiali di Roma. La missione si è dipanata attraverso azioni, dinamiche transgenerazionali, narrazioni transmediali, logiche postproduttive, in accordo o in anticipo con la riflessione internazionale sul fare artistico di questo inizio di secolo. Ma soprattutto attraverso forme nitide: vortici, onde, serpenti preistorici, ibridi zoomorfi, relitti archeologici, frutto di una precisa formazione architettonica, di un saper costruire e di un saper immaginare. Questo libro racconta quelle forme. Non lancia messaggi e proclami, anche se parla alla nostra coscienza collettiva: mostra l’avventura di un’artista.
Il libro, Help, edito da Rizzoli e Rizzoli International per l’edizione inglese, è una monografia sull’artista e architetto Finucci. Gli autori sono Giuseppe Barbieri e Silvia Burini, entrambi docenti di Storia dell’arte all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È stato presentato dagli autori al Maxxi di Roma insieme a Margherita Guccione, Stefano Chiodi e Barbara Jatta.