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Sono da poco diventato papà! Una gioia che non si può spiegare, un incantesimo che ti assorbe completamente. Il mondo gira intorno a quel visino. Ma allo stesso tempo non manca la consapevolezza di essere entrato in un videogame, bellissimo ma con sfide da affrontare quadro dopo quadro. Quello che è assurdo è che le prime sfide te le pone la burocrazia, assolutamente senza alcun motivo comprensibile. La bimba è appena nata e già è iscritta d’ufficio allo sportello complicazioni affari semplici. Non voglio fare del qualunquismo, ma mi chiedo se nel resto d’Europa (non) funziona come da noi.

Primo passaggio, iscrizione all’anagrafe. Si può fare anche in clinica, e trascuriamo gli impicci di passare da un responsabile all’altro, con la confusione nella testa di chi ha appena visto la sua vita cambiare per sempre. Arriviamo al nome: ciascuno ha le sue regole. Mica che si possono usare regole valide e chiare in tutta Italia. No, macché, c’è la maledizione della virgola. A parte il primo nome, se se ne vogliono aggiungere di onorifici si finisce nel caos. Pare che qualche anno fa la virgola era stata vietata, costringendo a una scelta secca (i nomi senza virgola finiscono tutti nei documenti e nelle firme), ma mi risulta che dal 2013 sia stata regolarmente ripristinata. Ti aspetti che allo sportello sappiano tutto, ma ciascuno ti dice la sua, e il rischio di un pastrocchio è gigante. Alla fine meglio un nome solo, e il resto semmai al battesimo. Ma questo è folklore. Il bello comincia adesso.

Fatta l’iscrizione all’anagrafe bisogna fare quella all’Agenzia delle Entrate per il codice fiscale e poi quella alla ASL per la tessera sanitaria (e a seguire il pediatra). Con rispettive file. Che può capitare siano epiche se capiti nella giornata storta, magari in mezzo alle feste, quando l’Agenzia delle Entrate ha sottostimato l’affluenza e per buona parte dell’orario di lavoro ha previsto di tenere aperti solo due sportelli per tutti i servizi, e uno dei soli due impiegati di turno è malato. Risultato: 15 secondi per fare il codice fiscale, 5 ore di fila di cui una bella fetta di fronte a sedie vuote. Il tutto poi per compilare un modulo che il fisco considera indispensabile, cioè l’iscrizione del neonato dove produce reddito. Produce reddito? Semmai lo risucchia, sempre grazie alla scarsissima sensibilità italiana in tema di famiglia.

In quanto a produzione, del pupetto quel che abbonda è il prodotto interno lordo, molto lordo: giuro che se il fisco lo vuole glielo incarto e consegno tutto il malloppo agli uffici competenti, con allegati profumi! Ma non è neanche questo il problema di fondo. Il punto è che pare che alla Pubblica Amministrazione non sia giunta notizia dell’invenzione dell’informatica, dei computer. Se sto in un ospedale, in una clinica, in un ufficio dell’anagrafe, e registro la nascita di un bimbo – nascita discretamente documentata, direi – e un pubblico ufficiale iscrive mia figlia nella cittadinanza italiana, perché devo fare il pellegrinaggio di duemila sportelli diversi? Perché non può esistere un sistema informatico che risponde a tutte le esigenze della Pubblica Amministrazione? Perché devo essere io e non loro a dover richiedere cose che sono di competenza degli enti pubblici? Perché l’iscrizione all’anagrafe non può bastare per mandare in circuito tutte le attinenze relative al neonato? Perché una volta iscritta all’anagrafe la bimba non può, tramite sistema informatico, ottenere in automatico codice fiscale e tessera sanitaria? Perché bisogna invece affollare e congestionare altri uffici come Agenzie dell’Entrate e ASL, e far perdere tempo ai cittadini, ai neogenitori già provati da un magnifico tsunami?

Cronache della paternità: la lotta con la burocrazia

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