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Tentare di mettere alcune idee a posto attraverso la rivisitazione delle parole è una tentazione comprensibile, spero, in tempi di stravolgimenti concettuali e lessicali. Ad essa non ho saputo, né voluto resistere: più per amor di polemica contro le falsificazioni abituali a cui siamo costretti a soggiacere che per ristabilire il corretto uso dei termini in relazione ai concetti che esprimono. Ne è venuto fuori un piccolo dizionario “inattuale” nel quale è pure condensata una visione del mondo in contrapposizione al sistema della menzogna che delle parole si serve per nascondere la verità di pensieri usati in maniera impropria. L’intento è scopertamente e provocatoriamente ideologico nella speranza più di irritare che di compiacere.

Infatti il linguaggio della verità non è fatto per farsi amare ai nostri giorni e chi cerca il facile consenso è meglio che si tenga le fumisterie che lo appagano. Chi scrive è un conservatore a cui il destino ha riservato il privilegio di far parte di una minoranza, talvolta perfino ghettizzata, a cui importa poco risultare intellettualmente gradevole a chicchessia. Non v’è superbia in questo atteggiamento, ma soltanto una onesta rivendicazione del diritto a non cantare nel coro e a non invocare comprensione per lo spirito reattivo che lo motiva a fronte del conformismo che ha finito per negare l’evidenza di idee che si ritenevano immodificabili attraverso parole che invece ne hanno mutato l’essenza.

Percorrendo le strade della modernità a chiunque è data la possibilità di riconoscere gli abusi che si compiono nell’utilizzo perfino delle parole più comuni dalle quali discendono distorsioni concettuali che appaiono francamente inaccettabili. Ma per quieto vivere o per pigrizia lo scempio viene tollerato al punto che quasi nessuno più ormai lo considera tale. Perciò credo sia molto più utile di specifici trattati un piccolo lessico che contribuisca, con qualche perdonabile (spero) ambizione, a mettere alcune idee a posto o, al- meno, a contestare la strumentalizzazione delle stesse che special- mente la politica, il giornalismo, la sociologia ne fanno utilizzandole ben al di là del loro significato originario con parole che ne mutano addirittura i significati o quantomeno li restringono fino a renderli incomprensibili.

Sono soprattutto termini di uso corrente che vengono maneggiati per uno scoperto fine di parte ingannando il fruitore o, nella migliore delle ipotesi, avvolgendolo in una cortina fumogena: le “parole-chiave” che qui vengono prese in considerazione sono tra le più abusate dal cosiddetto “pensiero unico” contro il quale muove il tentativo di sottrarle alla sua egemonia stabilita con l’ausilio della cultura televisiva e del Web impostasi in forme che definire totalitarie non è affatto esagerato.

Infatti, il dogmatismo ideologico contemporaneo (tutt’altro che morto e sepolto, come vorrebbero gli apologeti della “fine della storia”) vorrebbe che la democrazia si trasformasse progressivamente nell’accettazione indifferente di meccanismi di costrizione delle volontà fondate sulla sollecitazione dei bisogni. E pertanto dovrebbe essere buono e giusto tutto ciò che viene comandato attraverso la grande informazione inevitabilmente ispirato ai precetti della finanza e dell’economia, cioè del mercato inteso non solo come terreno di gioco senza regole, ma più ancora come arbitro unico ed indiscusso del gioco medesimo. Da qui la polemica ricorrente nel Lessico contro le distorsioni del profitto e l’assolutismo del materialismo pratico.

Il “pensiero unico”, così come si è configurato nel corso degli ultimi vent’anni attraverso l’apporto di correnti intellettuali apparentemente opposte eppure convergenti nel medesimo fine di smascherarne il progetto totalitario, è l’ideologia di riferimento di quanto appena richiamato. Ed ha un obiettivo preciso: il dominio della realtà “veicolato” da un nuovo tipo di universalismo laico. In

tale ideologia si incontrano l’egualitarismo, il relativismo morale, la soggezione dei sentimenti, delle emozioni e delle passioni ai bisogni, l’interesse indotto verso l’inessenziale.

Uno dei chierici più illustri del “pensiero unico”, Alain Minc, qualche anno fa scrisse: «Il capitalismo non può crollare, è la con- dizione naturale della società. La democrazia non è la condizione naturale della società. Il mercato sì». È doverosa una reazione cul- turale alle conseguenze di un’affermazione di questo genere dalla quale origina il malessere contro il quale pur si dice di opporsi da intellettuali e politici che poi finiscono per accettare un tale assunto e ciò che produce proprio attraverso uno spossessamento delle idee attraverso la menzogna del linguaggio. Ecco, dunque, che se un con- servatore si pone davanti al “pensiero unico” non può che portarvi le proprie esperienze e la propria visione del mondo e della vita contrapponendogli l’essenza spirituale che motiva la contestazione a quello che appare con tutta evidenza il fondamento della modernità globale e dell’omologazione culturale.

Vi è, dunque, molto di personale, perfino di autobiografico, in questo Lessico. Pertanto ogni voce non è soltanto ideologicamente “ispirata”, ma anche frutto di esperienze individuali che hanno contribuito a formarlo, come incontri, viaggi, letture, emozioni e passioni privatissime. Tutto concorre alla formazione di una concezione della vita che mi auguro emerga in maniera sufficientemente chiara da queste pagine, spiritualmente orientata in aperta opposizione al relativismo e al determinismo.

Può darsi che ci si sorprenderà se alcune “voci” appaiono francamente eccentriche in un lavoro di questo genere, ma è probabile che cogliendo le ragioni che ne hanno suggerito l’inserimento ci si adatterà a comprendere come anche la parola più banale, magari poco indagata, sia rivelatrice di una storia profonda negata se non addirittura ignorata. Ad esempio, mettendo l’accento sul calcio non è tanto l’aspetto sportivo che s’intende banalmente sot- tolineare, quanto la radicalità di un fenomeno sociale e cultura- le non indifferente a centinaia di milioni di esseri umani, la più parte dei quali è inconsapevole di ciò che si cela dietro un gioco, non soltanto in termini economici, ma anche politici o se si vuole “ m e t a p o l i t i c i ”.

Questo Lessico inattuale è il risultato di pensieri sparsi in carte private e scritti pubblici. Mescolando il tutto è venuto fuori così come si presenta, rapsodico e invitante ad approfondire le singole tematiche. Sarebbe stato fuori luogo fare di ogni “voce” un capitolo con rimandi, note, digressioni: certamente ne avrebbe guadagnato in spessore culturale, ma l’immediatezza dell’evocazione ne sarebbe risultata compromessa. Reputando che il modo migliore per inerpicarsi lungo i sentieri della modernità al fine di mettere in risalto ciò che non convince ad ogni tornante, si è preferito “aggredire” determinate parole, altre a loro volta “aggredite” accarezzarle e rivendicarle, altre ancora resuscitarle dall’oblio. E attraverso tutte riportare all’attenzione la verità di idee-chiave cadute in disuso oppure rese irriconoscibili dall’utilizzo arbitrario che generalmente se ne fa.

Perché combatto l'universalismo laico

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