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Sembra che il Presidente della Repubblica abbia formalmente indicato ad Enrico Letta – nella sua qualità di Presidente del Consiglio dei ministri – di tener conto in modo particolare dei temi concernenti la custodia cautelare e l’immigrazione.
Si tratta con tutta evidenza di temi fondamentali per il rapporto tra Stati nazionali ed Unione europea.
Appare pertanto particolarmente significativo il fatto che l’Italia introduca anche formalmente il tema dell’immigrazione nell’ambito degli argomenti da trattare con specifica rilevanza durante il semestre europeo di presidenza italiana.

È di conseguenza molto rilevante il fatto che non ci si limiti esclusivamente a porre una questione esclusivamente economica, soprattutto all’indomani della tragedia di Lampedusa.
L’immigrazione deve infatti essere collocata in un contesto che veda affrontati contestualmente i temi dell’asilo politico, dei rifugiati e degli immigrati.

Nel corso di molti secoli, infatti, il trattamento dello straniero è stato fortemente caratterizzato proprio a seconda che si trattasse di temi fondamentali della libertà di pensiero; di temi concernenti la fuga da situazioni di persecuzione bellica; di aggressione anche non necessariamente bellica; di temi più specificamente concernenti le “migrazioni”.
Siamo infatti in presenza di un concetto unitario di straniero che è stato affrontato in termini di religiosità, o in termini di appartenenza o meno a specifici ordinamenti statuali.

In riferimento all’asilo politico siamo infatti in presenza soprattutto di problemi che attengono alla ricerca di condizioni migliori di esercizio della libertà di pensiero o di godimento di diritti civili fondamentali: e basti pensare soltanto a quel che sta accadendo in riferimento agli istituti della famiglia e dell’adozione, per comprendere che l’asilo politico può diventare una questione rilevante anche a prescindere dalla più “tradizionale” libertà di manifestazione del pensiero.

Quanto allo status di rifugiato, basti considerare i tanti e drammatici esempi che il mondo contemporaneo ci offre, anche se non sempre in riferimento a vere e proprie situazioni di guerra.
Per quel che concerne infine la molto complessa vicenda della immigrazione, si può affermare che siamo in presenza di un fenomeno che sta passando da significativi rapporti relativi a vecchi regimi coloniali a fenomeni della nuova globalizzazione.
Si può pertanto rilevare che vi è stato – nel corso degli ultimi secoli – un atteggiamento di sostanziale accettazione sociale del fenomeno dell’asilo politico e di quello dei rifugiati: l’uno e l’altro non hanno mai dato vita a reazioni sostanzialmente di massa, anche se si tratta – come nel caso dei rifugiati – di vicende che hanno coinvolto molte migliaia di persone.

Ma l’immigrazione – a differenza dall’asilo politico e dalla ricerca di rifugio – sta finendo con il porre in grande evidenza proprio la incapacità dei vecchi Stati nazionali a porsi quale barriera insormontabile soprattutto nell’epoca attuale della globalizzazione.
Gli Stati nazionali – in particolare in Europa – hanno sostanzialmente finito con il ritenere materia di gelosa supremazia interna la disciplina complessiva dello straniero, sia che si tratti del richiedente asilo politico; sia che si tratti dei rifugiati; sia che si tratti di immigrati.
Una comune dimensione culturale dell’insieme di questi fenomeni appare pertanto necessaria proprio nel momento in cui l’Italia – Paese tradizionalmente di emigrazione e solo recentemente di immigrazione – pone all’Unione europea la questione di una qualche disciplina comune.
Non può esservi infatti dubbio che il processo di integrazione europea deve avere un’idea di persona umana – che come tale non conosce lo status di straniero – e di soggetto rilevante per l’economia – che, al contrario, si basa proprio sul concetto di chi è straniero rispetto a chi appartiene alla comunità nazionale.

Lo straniero tra Stato nazionale e Unione europea

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