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A vincere sulla governance di Telecom alla fine è stato l’ad Marco Patuano. Una soluzione che ha accontentato (quasi) tutti. Sicuramente tutti quelli che contano. A partire da Telco, la holding finanziaria che con il 22% controlla Telecom Italia e che sarebbe favorita da una trasformazione di quest’ultima in una public company. Perché riuscirebbe, senza grossi problemi, a uscire dall’impasse del conflitto di interessi di Telefonica in Brasile.

LA VITTORIA DI PATUANO 

La soluzione del manager è stata applaudita anche da Marco Fossati, che la ha definita un primo passo in avanti. Ed è stata appoggiata persino dagli indipendenti, tutti tranne Lucia Calvosa che ha votato da sola la sua proposta di modifica. Secondo la proposta di Calvosa il presidente sarebbe stato eletto in asseblea e alla maggioranza sarebbero stati assegnati i due terzi, invece che i quattro quinti, del board. L’unica voce di protesta si è levata dall’Asati, l’associazione dei piccoli azionisti, che ha giudicato la nuova governance una farsa promettendo anche denunce.

UNA NUOVA-VECCHIA GOVERNANCE

Dunque, cosa cambia adesso in Telecom? Secondo il comunicato ufficiale di venerdì sera il prossimo Cda sarà a maggioranza di indipendenti. “In sintesi la relazione del Consiglio, i cui contenuti sono condivisi dal Collegio Sindacale, suggerisce – si legge nella nota emessa da Telecom – La riduzione a 11 o 13 membri della composizione del prossimo CdA e una durata del mandato pari a tre esercizi”.

LARGO AGLI INDIPENDENTI?

Ancora, il Presidente non esecutivo deve essere scelto tra i consiglieri in possesso dei requisiti di indipendenza, e tutte le deleghe operative vengono affidate a una separata figura di amministratore delegato. In questo modo si eviterà il ripetersi di posizioni ibride come quella rappresentata prima delle dimissioni di ottobre scorso da Franco Bernabè.

COME CAMBIANO I COMITATI

Il Comitato Controllo e Rischi passa da 4 a 5 membri, viene abolito il Comitato esecutivo e proposto un Comitato Nomine e Remunerazione composto da 3 membri. “Il nuovo CdA deve essere indipendente rispetto sia al management sia all’azionista di riferimento”, si legge ancora nel comunicato, dove si fissa infine la soglia dello 0,5% del capitale con diritto di voto quale “minimo per la presentazione delle candidature”.

IL PLAUSO DI FOSSATI

Persino Marco Fossati, il patron di Findim che controlla il 5% di Telecom e che per primo aveva sollevato il problema della scarsa rappresentanza delle minoranze in Consiglio, con l’appoggio di Vito Gamberale, ha promosso (con riserva) le modifiche adottate. Secondo Fossati, il Cda “ha compiuto un primo passo recependo gran parte delle raccomandazioni minime di riforma della governance societaria che Findim aveva indirizzato al consiglio nelle scorse settimane”. Le modifiche però andrebbero “integrate in un punto cardine … Affinché il presidente rappresenti una figura di garanzia per tutti gli azionisti appare indispensabile che esso venga scelto nella logica del check and balance tra i candidati eletti nelle liste di minoranza”.

GLI APPLAUSI DEL MERCATO

Anche in Borsa le azioni Telecom hanno festeggiato. Forse perché dal Cda non è uscito nulla di inaspettato e lo stesso consigliere franco tunisino Tarak Ben Ammar a fine riunione ha confermato che sulla governance “abbiamo ascoltato il mercato”. Gaetano Micciché, che nel board rappresenta di Intesa Sanpaolo, uscendo dalla riunione aveva invece parlato di decisioni “prese all’unanimità”, enunciando il principio che il Presidente sarebbe stato scelto dall’Assemblea.

LA FURIA DELLE MINORANZE

Proprie queste dichiarazioni su cui l’Asati aveva esultato, hanno poi scatenato l’ira dei piccoli azionisti. Che, per bocca del loro presidente Franco Lombardi, ora si riservano “di procedere a una azione civile di denuncia alla Magistratura per potenziali false comunicazioni al mercato, invitando la stessa Consob ad acquisire tutte le informazioni di sua competenza”. In ogni caso Asati, che rappresenta il 2,5% del capitale di Telecom, “esprime un totale dissenso riguardo alla decisione di non far nominare il Presidente dall’Assemblea come previsto dall’art. 10 dello Statuto e sulla mancanza dell’approvazione di un codice di autodisciplina che misuri e monitori in maniera puntuale, rigorosa e stringente il termine di “indipendenza dei Consiglieri” limitandosi invece solo ad una banale raccomandazione che è solo una farsa e presa in giro… Infatti se come si apprende dalla stampa un solo consigliere, la prof. Calvosa, abbia proposto e votato da sola, contro tutti, la nomina del Presidente in Assemblea, ci chiediamo ma Zingales, Egidi, Fitoussi, Sentinelli (gli altri quattro indipendenti nel board insieme a Calvosa, ndr) quali interessi rappresentano nel Cda? Non quelli delle minority…”. Nulla è variato secondo Asati, né la regola dei quattro quinti per la composizione del board, né la modalità di elezione del Presidente, né il fatto che i consiglieri di minoranza debbano essere graditi alla società e tutto “è peggiore di prima”.

Ora la palla passa all’assemblea che il 16 aprile dovrà nominare il nuovo Cda.

Telecom, perché sulla governance ha vinto Patuano (e lo status quo)

A vincere sulla governance di Telecom alla fine è stato l’ad Marco Patuano. Una soluzione che ha accontentato (quasi) tutti. Sicuramente tutti quelli che contano. A partire da Telco, la holding finanziaria che con il 22% controlla Telecom Italia e che sarebbe favorita da una trasformazione di quest’ultima in una public company. Perché riuscirebbe, senza grossi problemi, a uscire dall’impasse…

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