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Pubblichiamo un estratto dell’ebook “Singapore Connection- Caccia ai boss del calcioscommesse mondiale” di Gianluca Ferraris e Antonio Talia, edito da Informant. 

Il professor Mark Findlay è un criminologo australiano che insegna alla Singapore Management University. Si occupa di reati dei colletti bianchi e dei loro legami col mondo della criminalità organizzata. Sui cinquant’anni, barba, orecchino e aria da ex-hippy, ci riceve in un ufficio stracolmo di carte. Inquadra subito il fenomeno del calcioscommesse da un’altra angolazione. Più precisa. Ma forse anche più inquietante. “Singapore è in preda alla football-mania. Da sempre”, racconta.

“Qui tutti amano il calcio. Se andate in un qualsiasi bar in città, dai pub in stile britannico del quartiere finanziario fino ai ristoranti a poco prezzo della zona di Geylang, li troverete pieni fino alle tre del mattino di tifosi che urlano, gioiscono e si disperano per squadre che non hanno mai visto dal vivo. Liverpool e Manchester Utd, ad esempio, hanno fatto diverse tournée in città e il loro obiettivo resta quello di quotarsi alla Borsa di Singapore, perché in Asia il mercato è infinitamente più ricco e consente di coagulare intorno ai brand delle squadre interessi enormi a tutti i livelli”, prosegue.

Fino a pochissimo tempo fa, come sottolinea Findlay, il governo di Singapore negava decisamente di avere qualche problema con il crimine organizzato e la corruzione. “Semplicemente, le autorità dichiaravano che il fenomeno non esisteva, e per questo motivo la struttura legislativa in materia è molto debole”. La frode sportiva, per esempio, pur essendo alla base di ogni combine riuscita o semplicemente tentata, è un reato minore, punito quasi sempre con una multa e con un massimo di pochi mesi di carcere, ma soprattutto per il quale non vige neppure l’obbligo di estradizione in ottemperanza ai trattati internazionali. Ecco perchè Tan Seet Eng può vivere tranquillo e indisturbato in città nonostante un mandato d’arresto spiccato da un tribunale italiano, ed ecco perché Wilson ha lasciato precipitosamente il suo villino solo quando è stato colpito da un’accusa di tentato omicidio.

Il framework legale, continua il professore, è assolutamente inadatto a contrastare un reato transnazionale di questa portata: “Poniamo il caso di un cittadino singaporiano coinvolto in un’impresa interamente offshore, che trucca le partite all’estero e propone ad altri singaporiani di puntare in città, legalmente, attraverso la Singapore Pools. Se le uniche prove nelle mani degli investigatori sono qualche telefonata o qualche mail nelle quali nessuno dice esplicitamente che corromperà il tale giocatore o il tale arbitro, ma ci si limita a consigliare la scommessa su quel certo risultato, allora nessuno sta commettendo un reato sul suolo di Singapore. Le autorità dovrebbero riuscire a provare che lo schema è iniziato qui, che la frode è partita e poi i criminali sono andati in Europa, in Africa o in Sudamerica a cercare gente capace di influenzare i giochi. Ma è un’impresa dannatamente difficile”.

Negli ultimi anni, inoltre, il governo ha mutato il suo atteggiamento nei confronti del gioco d’azzardo – che fino al 2005 era illegale – con l’apertura dei due casinò di Marina Bay e Sentosa Island e la creazione della società di stato Singapore Pools. “Ma anche quest’apertura è insufficiente, perché deve fronteggiare la tradizionale predisposizione cinese alle scommesse, e una schiera di scommettitori ricchissimi che non possono o non vogliono viaggiare per piazzare puntate vertiginose. A Singapore tutti, dallo spazzino al dirigente d’azienda, amano il gioco d’azzardo”.

L’altro elemento chiave è che in Asia, a differenza dell’Europa o degli Stati Uniti, i miliardari hanno un accesso diretto e immediato ai capitali liquidi, una notevole massa di denaro in contanti che va alla continua ricerca di nuove forme d’investimento, e per la quale un business come quello delle partite truccate – che necessita istantaneamente di contanti – rappresenta l’allocazione ideale: “Anche se il governo di Singapore afferma di averlo sradicato, il canale del credito informale cinese è ancora molto forte. Con questo metodo puoi emettere una nota di pagamento che si trasferisce senza essere dichiarata in nessuno Stato, e si può facilmente incassare dall’altra parte del mondo, a Roma, Parigi o Londra. Su quest’ultimo aspetto siamo nel campo delle ipotesi, ma ritengo che si tratti della strada giusta”.

Una ricetta del Singapore Sling scarabocchiata a mano nel 1936 è ancora esposta alle vetuste pareti coloniali del Raffles Hotel Museum. Football mania + legislazione debole + passione per il gioco d’azzardo + capitali liquidi + riserva praticamente infinita di scommettitori: ecco gli ingredienti che secondo Mark Findlay hanno reso Singapore la capitale mondiale del calcio truccato. Il cocktail è servito.

L’ipotesi del criminologo, tuttavia, è che il progetto originario non sia nato qui. Ma la città-Stato, con le sue caratteristiche uniche, ha avuto il merito di proiettarlo, con grandissimo successo, sullo scenario globale: “Sospetto che l’idea sia nata in Malesia. In Malesia le figure di spicco del crimine organizzato sono spesso etnici cinesi con due o tre, o decine di passaporti, che si muovono tra Kuala Lumpur, la Cina e l’Indonesia. Probabilmente hanno visto come gli indiani e i pakistani truccavano le competizioni del loro sport nazionale, il cricket, e si saranno detti: ‘E il calcio?’. Subito dopo avranno guardato a Singapore, con la sicurezza che i fondi locali e le reti di connessione della finanza internazionale avrebbero potuto essere piegati al business criminale”.

Ma influenzare i match del campionato italiano o inglese, scalare i vertici e truccare la Coppa del mondo non è solo un affare multimiliardario: “È un biglietto per il potere”, dice Findlay. “Ho delle informazioni abbastanza precise su due dei più importanti boss della Malesia. Si tratta di personaggi che ormai esercitano raramente la violenza, rispettate figure della finanza e capaci di un’importante influenza sulla politica, che vogliono controllare la gente non più – o non solo – con le armi, ma soprattutto attraverso il prestigio, il potere, gli obblighi e il rispetto. Ora, se io fossi un’importante figura del crimine organizzato in Malesia o un politico corrotto di Singapore, non vedrei l’ora di dimostrare ai miei alleati che controllo la Premier League inglese o la Serie A italiana, che posso fissare il risultato dei Mondiali, che sono in grado di fornire praticamente in qualsiasi momento una dritta su una scommessa che frutterà miliardi”.

Definire “reato” quello descritto da Findlay è riduttivo: si tratta di un business model che da Singapore si snoda attraverso i continenti, per mettere a punto un prodotto finanziario perfetto, un’assicurazione a prova di bomba – riservata solo a chi investe nella rete – che l’investimento andrà esattamente come previsto. “Non si tratta semplicemente di volare in Italia e consegnare dei soldi a qualcuno, c’è un’alleanza tra i gruppi criminali di Singapore e quelli europei, e una fitta rete d’intermediari in grado di presidiare tutti i passaggi”.

Le analogie non finiscono qui. La difficoltà nel capire chi comanda un gruppo del genere è di fatto la stessa che s’incontra nell’individuare chi controlla la Pepsi o la Coca Cola: si può identificare l’amministratore delegato, che però potrebbe non essere il managing director, e potrebbe essere influente in una certa società e non in un’altra; si possono individuare gli azionisti di maggioranza, ma non quelli che pur detenendo quote significative magari si nascondono dietro un fondo d’investimento o una società offshore; si può stimare con precisione il perimetro della rete vendita, ma è praticamente impossibile ricostruire i singoli rapporti d’affari tra negozio e negozio, o tra grossista e dettagliante. E così via.

“Penso che il network, ormai, sia così complicato, che mettersi alla caccia del ‘Capo di tutti i Capi’, sia solamente fonte di confusione investigativa”, dice Findlay. “Le indagini di polizia, le inchieste giornalistiche e anche gli studi criminologici si fondano spesso sull’individuazione del ‘Mr Big’. Ammetto che identificare il ‘Keyser Soze’ del calcioscommesse sia un’attività sexy, specialmente per voi dei media, ma in realtà sarebbe molto più interessante capire come funziona la rete di scambi finanziari. In questa storia ci troviamo di fronte alle più tipiche condizioni ideali per il crimine organizzato, che è transnazionale: c’è un’opportunità; ci sono grossi capitali; c’è un network; c’è un prodotto da vendere, e ci sono aree poco regolate in cui esercitare queste attività”.

Ma per portare a casa un risultato giornalistico dobbiamo tanto provare a ricostruire lo schema finanziario quanto seguire le tracce di Tan Seet Eng. Il nostro Keyser Soze.

L’ebook “Singapore Connection- Caccia ai boss del calcioscommesse mondiale”, edito da Informant, è un reportage investigativo frutto del lavoro di tre anni: Gianluca Ferraris e Antonio Talia conducono il lettore alla scoperta delle strade segrete della metropoli asiatica, tra allibratori clandestini, scommettitori incalliti, e signori della truffa già pronti a truccare il prossimo match. Fino al cuore del meccanismo finanziario che ha messo in ginocchio il calcio moderno. Nella versione iPad “Singapore Connection” contiene grafici, video a telecamera nascosta, foto, mappe dei luoghi dell’indagine: un nuovo tipo di reportage, per sperimentare gli ultimi confini del giornalismo digitale.

Singapore Connection

 

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