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Sia al politico di vertice che all’uomo della strada italiano (come di qualsiasi nazionalità nel Vecchio Continente) l’Europa appare concentrarsi sulla questione dell’euro. Cioè di una moneta comune che doveva esercitare una funzione unificante i popoli europei ed è, invece, avvertita, da molti, piuttosto come un peso di cui liberarsi il più presto possibile. Però l’Europa non si esaurisce nei guasti prodotti dall’euro nell’economia europea, Germania esclusa.

Ciò che veramente, cioè oggettivamente, è andato progressivamente affievolendosi è il senso di appartenenza dei cittadini ad una Unione Europea che avrebbe dovuto conferire ai popoli dell’intero continente maggiori diritti, una cultura identitaria più diffusa, l’accettazione di strumenti e sedi di formazione di processi decisionali sovranazionali condivisi e non perché burocraticamente sovrapposti alle libere istituzioni nazionali. Nel volgere di un ventennio si è passati dal Trattato di Maastricht (1993) ai Trattati di Amsterdam (1999) e di Lisbona (2009), ma in nessuno di essi il cittadino europeo avverte un avanzamento positivo. In estrema sintesi, anche il più convinto e inossidabile europeista può onestamente sostenere che l’Europa politica ci sia davvero, abbia una legittimità democratica autonoma e correttamente vincolante e non sia, invece, limitata a negoziati diplomatici fra governi, dove l’asse Berlino-Parigi è dominante.

L’Italia si appresta ad andare ad eleggere tra breve un nuovo parlamento europeo, avvalendosi di un sistema proporzionale per l’aggiudicazione dei seggi. Ma è in buona misura incerta se recarsi alle urne; e su quale contributo effettivo potrà dare all’evoluzione politica di un’Europa completamente nelle mani di un esercito di burocrati che identifica la sovranità con se stessa, degnandosi a tratti di ascoltare una varietà di punti di vista presenti nel parlamento europeo.

Una prima, fondamentale questione è tutta ancora da precisare: il concetto stesso di cittadinanza affinché possa parlarsi di popolo europeo che si reca alle urne nella convinzione di poter contribuire a definire una sovranazionalità politica. Difetta infatti all’Unione Europea la pienezza di una sovranità comune, condivisa, difesa al di là delle opinioni politiche: che non sono (e non devono essere) uniformi, né nel territorio europeo, né in una qualsiasi comunità nazionale.

C’è da augurarsi che i movimenti politici, almeno quelli con ascendenze europeiste antiche, eredi dei De Gasperi e degli Spinelli, approfondiscano i temi dell’Europa che non c’è. E si dispongano a chiedere voti non per accertare quanto contano oggi in Italia i singoli gruppi nazionali, ma cosa è necessario progettare, da subito, perché l’Europa non sia un luogo culturalmente e politicamente dimentico della propria storia e si trasformi in una entità degna di misurarsi con la civiltà moderna.

L'Europa non si esaurisce con i guasti dell'euro

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