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Pubblichiamo l’editoriale di Antonello Di Mario da domani on line sulla rivista Fabbrica Società della Uilm

Il coro s’è fatto unanime e ripete, come fosse una nenia, l’appello salvifico: “Ci vuole una seria politica industriale”. Gli dei e il popolo annuiscono, ma il tempo passa e nulla accade.

Un “lndustrial compact” continua ad essere evocato dal premier Enrico Letta che reputa cruciale il ruolo dell’Italia verso l’obiettivo europeo del 20% di manifattura entro il 2020. Electrolux e Fiat sono le più note e recenti vicende industriali che mostrano cosa succede nel Paese. “La difficile vertenza aperta dall’Electrolux – ha scritto Giorgio Squinzi, leader degli industriali – denuncia la necessità di una forte azione del governo a difesa dell’industria manifatturiera e volta a rafforzare la capacità del nostro Paese di attrarre e mantenere gli investimenti”.

Gli fa eco l’ex premier Romano Prodi che sollecita l’adozione di una politica industriale attiva nei confronti delle imprese e dei sindacati:“Politica – avverte – di cui abbiamo necessità non solo nel caso del settore dell’auto, ma anche in quello degli elettrodomestici dove, in modo simile a quello dell’automobile, abbiamo alle nostre spalle un glorioso passato, ma sembriamo voler consegnare il futuro non solo ai paesi a basso costo del lavoro ma, ancora una volta alla Germania”.

Il dramma è che al di là delle parole, il nostro sistema è bloccato. Intanto, per acquistare legittimazione politica nel confronto col Paese governato da Angela Merkel, dovremmo muoverci insieme a Francia e Spagna nel contesto europeo e realizzare riforme strutturali in ambito interno. Purtroppo, la Francia ci snobba e va per conto proprio, mentre in Italia, come scrive sul “Sole 24 Ore” il disincantato Alberto Orioli, “la spesa non si taglia, l’energia non diventa argomento da piano strategico, il fisco continua a strangolare la competitività, la burocrazia resta il primo nemico della rinascita”.

Allora, come si può fare? E’ evidente: non bastano le enunciazioni tecniche per uscire dal guado. Per mettere in moto un nuovo ciclo di sviluppo ci vuole un’energia collettiva che tuttora manca. Così si sblocca il sistema e si garantisce un nuovo inizio. Un ciclo di sana crescita economica e di una più equa distribuzione della ricchezza è possibile se potrà contare all’unisono sull’energia della comunità e su quella dei talenti individuali.

Giuseppe De Rita e Antonio Galdo raccontano come gli italiani hanno vinto la sfida della sopravvivenza, pur rimanendo un popolo della sabbia: “Ritrovare – prevedono i due saggi analisti – ciò che unisce e trasforma i granelli di sabbia in mattoni richiederà tempo. I processi di sviluppo vanno accompagnati e sostenuti da classi dirigenti che non siano appiattite sul presente, sfarinate e capaci di suscitare emozioni solo in circuiti autoreferenziali”. Insomma, guardare al futuro significa annullare le distanze tra il popolo e gli dei, alla ricerca di quell’energia vitale che sblocchi il sistema. Quando manca un sogno che è di tutti, la  politica industriale da sola non può bastare a programmare un orizzonte condiviso. Dato che sopravvivere non è più sufficiente!

Antonello Di Mario

Direttore di “Fabbrica società”

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