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Cosa celebriamo con uno spread al di sotto di 200 punti base (2%) rispetto alla quota 400 (4%) circa di inizio 2012? Non un più basso costo reale del debito, cioè quanto potere d’acquisto devono cedere i contribuenti italiani al Tesoro via tassazione per finanziare il rimborso delle cedole per interessi ai detentori di debito pubblico italiano. Né un più basso costo del credito in termini reali da parte delle imprese, cioè quanta parte dei loro ricavi queste devono dedicare al rimborso delle spese per interessi su finanziamenti.

Anzi, rispetto ad allora le cose sono un po’ peggiorate. Anche rispetto ai valori di estate 2012, poco prima di quando Draghi, autorizzato dalla Merkel, avviò un salvataggio parziale della Grecia via politica monetaria, e gli spread dell’euro sud impazzivano, l’Italia in termini reali non sta oggi poi così meglio.

Prendiamo il primo trimestre 2012 rispetto ad oggi: gli spread erano di circa 200 punti superiori, se calcolati in base al tasso nominale dei BTP e Bund, ovvero degli euro che i rispettivi governi si impegnavano a restituire ai detentori dei titoli, chiedendoli appunto ai contribuenti.

Ma né ai detentori dei titoli né ai contribuenti interessa quanti euro ricevono o devono pagare: interessa piuttosto il potere di acquisto di quegli euro di cui entrano in possesso o a cui devono rinunciare. Tutte le zucchine, patate, vacanze, autovetture che possono ora acquistare o a cui  devono rinunciare.

E qui le cose si fanno gravi assai. L’inflazione tedesca ad inizio 2012 viaggiava attorno a quota 2,5%, la nostra al 4%. Insomma un euro valeva molto meno in Italia che non in Germania rispetto all’anno prima. Oggi invece l’inflazione tedesca è all’1,5% circa, quella italiana allo 0,8% circa. Quando lo Stato chiede un euro ai contribuenti per pagare un euro ai detentori dei titoli, quell’euro costa (vale) molto di più in Italia che non in Germania.

La differenza tra tassi reali nel 2012 era di circa 2,5% (allo spread di 4% andava sottratto il nostro “vantaggio” inflazionistico di allora di circa 1,5%) a sfavore (favore) dei contribuenti (detentori di titoli) italiani. La differenza tra tassi reali oggi è di circa 2,7% (allo spread di 2% va aggiunto il nostro “svantaggio” inflazionistico di allora di circa 0,7%) a sfavore (favore) dei contribuenti (detentori di titoli) italiani.

Siccome i tassi reali governativi finiscono per impattare sui costi bancari nazionali – anche a causa dei titoli di Stato nazionali e dunque del rischio analogo che le banche hanno in portafoglio  – questo maggiore svantaggio non è solo a danno dei contribuenti italiani: è anche a danno delle imprese italiane che devono restituire alla banca, per ogni euro che ricevono in prestito, più profitti di quanto non ne debbano restituire le imprese tedesche, minando la nostra competitività relativa.

Stiamo peggio di ieri, per un pessimo governo dell’economia da parte dei leader italiani da un lato e tedeschi dall’altro. Siamo più vicini di ieri alla disfatta. Le parole di Renzi sull’irrilevanza del deficit al 3% sono un raggio di sole che illumina il buio totale di questa politica economica. Abbiamo bisogno di ben di più di un raggio per riscaldarci e ritrovare fiducia: gli accenni renziani sono ancora privi di un progetto complessivo, nazionale ed europeo, che sostenga la ripresa. I Viaggiatori in Movimento hanno indicato il sentiero, l’unico sentiero, per salvarci da 30 anni di ulteriore declino con una politica economica che si tiene attorno ad un progetto coerente, stabile, espansivo, capace di far tornare il sole a regnare sul Vecchio Continente.

Grazie ad Edoardo Narduzzi.

Il post completo si può leggere qui

Perché è folle farsi abbindolare dall'euforia per lo spread a 200

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