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Pubblichiamo grazie all’autorizzazione del Gruppo Class editori il commento del direttore Pierluigi Magnaschi, apparso oggi sul quotidiano Italia Oggi.

Solo chi aveva voglia di stupirsi, si è stupito del discorso d’avvio della campagna di Matteo Renzi per le primarie del Pd. Nelle precedenti primarie (alla fine delle quali Renzi fu sonoramente sconfitto da Pier Luigi Bersani) il sindaco di Firenze era il rottamatore. Diceva, allora, che, se avesse vinto, avrebbe mandato a casa tutti i ruderi del passato comunista che, a un quarto di secolo dal crollo del Muro di Berlino, reggevano le strutture portanti del Pd.

Ma gli ex leader del movimento giovanile del Pci (gli ex figiciotti), pur essendo in lite fra di loro, erano più che mai determinati a neutralizzare l’untore che, non solo si faceva avanti minacciosamente, ma minacciava anche di restituirli alla società civile a fare un lavoro che, in vita loro, non avevano mai fatto, visto che erano nati come funzionari del partito e, in sostanza, sotto successivi incarichi parlamentari, lo erano permanentemente rimasti. Per costoro, perdere il partito, significava perdere tutto. E si sa che, quando lo si spinge contro un angolo, persino un gatto diventa più pericoloso di un bull dog.

Da questa esperienza, Renzi ha capito che, se la si prende frontalmente, la nomenklatura del Pd, che di primo acchito sembra così fragile, è invece, nella sostanza, imbattibile. Renzi infatti si batte per crescere, gli altri lottano per sopravvivere. Da qui l’attuale metamorfosi di Renzi che, se è sbocciata nell’ultimo weekend a Bari, era in atto da diversi mesi.

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