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“Non si può porre nessun rilievo al suo operato”. Lo dice in un linguaggio tecnico Vincenzo Lippolis, professore di Diritto comparato all’Università degli studi internazionali di Roma e membro della commissione di “saggi” sulle riforme del governo Letta, ma il senso delle sue parole è questo: giù le mani da Giorgio Napolitano.

Dalla nomina di Giuliano Amato alla Corte costituzionale alla strenua difesa del governo di larghe intese, le ultime mosse del presidente della Repubblica sono state spesso bersaglio di critiche e attacchi. Ma il professore, autore tra l’altro con Giulio M. Salerno del saggio edito dal Mulino “La repubblica del Presidente”, li smonta uno a uno con Formiche.net.

Professore, il Presidente Napolitano è stato accusato in questo nuovo inizio di settennato di aver accentuato l’interventismo che aveva sempre caratterizzato il suo operato e di essere andato oltre il suo ruolo. E’ così?

Napolitano si comporta perfettamente in linea con il ruolo che la Costituzione assegna al Presidente della Repubblica. In una situazione di difficoltà, direi quasi di emergenza nazionale, il capo dello Stato ha il dovere di provare a garantire un governo al Paese, di intervenire per evitare vuoti politici che esporrebbero l’Italia a rischi gravissimi.

Si è parlato con Napolitano di “Repubblica presidenziale”…

Ritengo che sia un dibattito stucchevole quello sul fatto che l’Italia sia diventata con Napolitano una Repubblica presidenziale. Il presidente della Repubblica secondo la carta costituzionale ha robusti poteri di intervento e deve esercitarli in vista della tutela degli interessi nazionali. In questo momento, l’interesse nazionale è che non ci sia l’apertura di una crisi politica. Per essere più chiaro, se fossimo in una repubblica presidenziale come in Francia, ora al Quirinale ci sarebbe il leader del Pd o del Pdl. E bisogna domandarsi: il leader di un partito si comporterebbe come sta facendo ora Napolitano? Non credo. Non si avrebbe più nel capo dello Stato l’arbitro che esercita una funzione riequilibratrice.

In realtà tra le critiche più severe al presidente Napolitano c’è proprio il fatto che abbia perso la sua funzione di arbitro per farsi custode delle larghe intese.

Il presidente della Repubblica è garante del governo del Paese. In questo momento, l’unico governo possibile, certo e saldo appare quello della larghe intese. Se si dovesse formare una alternativa in grado di guidare l’Italia con una nuova maggioranza, Napolitano non sarebbe più il difensore delle larghe intese ma accetterebbe il nuovo equilibrio in Parlamento.

Ciò significa che Napolitano, in caso di caduta dell’esecutivo, non manderà tutti alle urne?

Siamo nell’ambito di un esercizio corretto dei poteri costituzionali. Di fronte a una crisi di governo e prima di arrivare alla misura drastica dello scioglimento della Camere, il capo dello Stato ha il dovere di verificare se esiste in Parlamento la possibilità di una nuova maggioranza. Lo scioglimento anticipato del Parlamento è un intervento traumatico, non è da considerare positivamente nell’ordinata vita democratica. Si pensi che l’Inghilterra a fine 2011 ha approvato una legge che regola lo scioglimento della Camera dei Comuni in modo che la legislatura possa durare tendenzialmente cinque anni.

Napolitano e la sentenza della Cassazione su Berlusconi. Alla fine arriverà la tanto attesa grazia?

La nota di Napolitano dello scorso 13 agosto ha posto un punto fermo sulla questione e sul ruolo che il Quirinale può avere. La grazia può essere concessa solo secondo determinate procedure e con determinati requisiti. Il presupposto fondamentale è che ci sia una richiesta. E in qualche modo deve esserci da parte dell’interessato un’accettazione della sentenza. Altri problemi per il leader Pdl derivano dal fatto che è imputato in altri processi. Napolitano ha comunque chiarito che non può attivarsi autonomamente e se arriverà la richiesta, essa sarà seguita da un’istruttoria al ministero della Giustizia, come vuole la sentenza del 2006 della Corte costituzionale.

Attacchi al capo dello Stato sono arrivati anche per le sue recenti nomine. L’ultima quella di Giuliano Amato alla Corte costituzionale, giudicato dalla rete non proprio “un volto nuovo” e un pensionato d’oro.

La figura scientifica di Amato non si può discutere. Non vedo come si possa considerare negativamente l’ingresso alla Consulta di un giurista di grande esperienza come lui.

E i 4 senatori a vita recentemente nominati e considerati dai più “maliziosi” determinanti per una nuova maggioranza?

La decisione di Napolitano rientra perfettamente nella previsione dell’articolo 59 della Costituzione. La domanda da porsi non è sulla scelta di Napolitano ma su che senso abbia questo istituto che appare ormai superato e da fa rientrare sul tavolo delle riforme. Che senso ha mescolare senatori legittimati dal voto popolare con persone che non lo sono ma che hanno lo stesso status e possono determinare i lavori dell’Assemblea?

Da Amato a Berlusconi, le mosse di Napolitano spiegate dal saggio Lippolis

“Non si può porre nessun rilievo al suo operato”. Lo dice in un linguaggio tecnico Vincenzo Lippolis, professore di Diritto comparato all'Università degli studi internazionali di Roma e membro della commissione di “saggi” sulle riforme del governo Letta, ma il senso delle sue parole è questo: giù le mani da Giorgio Napolitano. Dalla nomina di Giuliano Amato alla Corte costituzionale…

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