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La storia del contenzioso marittimo greco-turco si arricchisce sempre di nuovi capitoli. Da quando negli anni Settanta del secolo scorso Ankara concesse permessi di esplorazione nell’Egeo si è accesa una disputa con Atene che non si è mai risolta benchè le due Parti si siano incontrate decine  di volte nell’ambito di un regolare processo negoziale. 

Tutto ruota sui limiti dei fondali della  Piattaforma continentale (Pc) e della sovrastante colonna d’acqua della Zona economica esclusiva (Zee). La Grecia reclama praticamente l’intero Egeo e gran parte del Mediterraneo Orientale sostenendo che tutte le sue isole -anche le più piccole a ridosso della costa turca- abbiano diritto a generare Zee di massima estensione. Il caso emblematico è la minuscola Kastelorizo (ex possedimento italiano del Dodecaneso) che, con effetto al 100%, proietterebbe in modo sproporzionato il limite della Zee greca sino al centro del Mediterraneo: in questo modo la Zee turca verrebbe confinata in uno spazio ristretto. Ma Ankara ha giocato d’anticipo nel 2019, negoziando un accordo di delimitazione con Tripoli  che priva della Zee le isole greche di Creta, Scarpanto e Rodi. In risposta, Atene ha delimitato nel 2020 un tratto di Zee con l’Egitto che si sovrappone a quella Turco-Libica. Anche la Zee di Cipro è contestata dalla Turchia.  

La confusa situazione delle Zee del Mediterraneo orientale si riverbera anche sui progetti di infrastrutture subacquee. La costruzione del gasdotto Eastmed-Poseidon che dovrebbe collegare l’Italia con i giacimenti di Israele e  Cipro via Grecia è fermo per l’incertezza su quali siano gli Stati competenti ad autorizzarne il tracciato subacqueo. È significativo, al riguardo, che l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, si sia così espresso nel 2023 : “Non possiamo pensare di raggiungere un accordo con Israele, Cipro e Grecia per delle pipelines senza il coinvolgimento della Turchia”. Di recente Ankara ha anche posto il veto, per analoghi motivi, alla realizzazione di un cavo sottomarino di interconnessione elettrica tra Grecia, Cipro ed Israele.

Certo è pure che l’attivismo marittimo della Grecia è cresciuto negli ultimi tempi. Pare che Atene voglia anche acquistare due nostre Fregate Fremm  già in servizio per incrementare in tempi brevi le sue capacità navali. Ma è sul fronte delle Zee che Atene ha iniziato a muoversi con decisione. Qualche giorno fa è stata creata al largo del Peloponneso la prima Zee greca che verso ovest si spinge fino al limite concordato con l’Italia nel 2020. Il decreto istitutivo preannuncia   iniziative del genere in altre aree marittime. E come ulteriore fait accomplì la Grecia ha inviato alla Commissione Ue la propria Pianificazione dello spazio marino (Psm)  inserendo in una mappa -tra le zone oggetto di programmazione della blue economy-  tutte le aree di Zee rivendicate dalla Turchia. Inutile dire che Ankara ha subito emanato una mappa (relativa egualmente alla PSM) che ingloba le Zee greche. Insomma, una specie di guerra  delle mappe, condotta in modo unilaterale, al di fuori dei normali canali diplomatici di confronto tra  vicini. 

In un mare semichiuso come il Mediterraneo la regola dovrebbe essere il cooperare per realizzare certezza dei confini marittimi, prosperità economica e protezione dell’ambiente. In passato avremmo detto che, sulla base di questo principio,  la composizione della disputa greco-turca sulle Zee ( che riguarda anche la larghezza delle acque territoriali, il soccorso in mare, il controllo dello spazio aereo, e la sovranità su determinate isole) sarebbe avvenuta per accordo o per arbitrato. Ma dopo anni di polemiche e colpi di scena sembra irrealistico il solo pensarlo. Forse lo status quo si protrarrà ancora a lungo finchè nuove generazioni di governanti non decideranno di scegliere la via della collaborazione economico-marittima accantonando le questioni di principio. Intanto, perché non pensare ad una conferenza sulle delimitazioni del Mediterraneo aperta a Grecia e Turchia, ma anche a tutti i Paesi  che vogliano illustrare pubblicamente le ragioni delle loro pretese? Può candidarsi a farlo l’Italia ora che sta vivendo un momento di dinamismo nelle relazioni internazionali? 

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