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Il nuovo libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella dal titolo “Se muore il Sud” merita di essere letto e approfondito con grande rigore scientifico per l’intento che lo ispira, volto ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale sulle difficili condizioni del Mezzogiorno, al fine di riproporre politiche nazionali di intervento per il suo rilancio. Politiche – dicono gli autori – che potrebbero avvalersi, per poter massimizzare i loro effetti positivi, anche di chi vi resiste sul piano industriale e riesce ad essere competitivo e dinamico: in una parola, di un Meridione moderno e qualificato che pure è ben presente e potrebbe guidare la rinascita del Sud.

LO SPIRITO ENCOMIABILE E IL PUNTO DI PARTENZA OPINABILE

Ora, se lo spirito animatore del volume è condivisibile, non ci sembra tuttavia che il punto di partenza dell’analisi di Rizzo e Stella sia attento a cogliere tutte le modernità e i moltissimi punti di dinamismo presenti nel Sud. E così, al di là delle intenzioni degli autori, il risultato politico che potrebbe sortire dal loro libro rischia, a nostro avviso, di essere esattamente opposto a quello da loro auspicato: continuare infatti ad enfatizzare solo gli squilibri macroeconomici e le emergenze sociali delle regioni meridionali potrebbe occultare i tanti punti di forza del tessuto produttivo meridionale che sono risorse preziose per l’intero Paese.

LA CONVENIENZA DEL MERIDIONE

Infatti, in un momento in cui è tutta l’Italia che dovrebbe accelerare sulla strada della crescita – pur in presenza dei pesanti vincoli derivanti dalle norme comunitarie – è soprattutto il Meridione a presentarsi come una grande convenienza per investitori italiani ed esteri, sia per la sua vasta dotazione di risorse naturali – petrolio, gas, vento, posizione geografica –  sia per la rilevanza del suo apparato industriale – nel cui ambito è possibile costruire o irrobustire nuove filiere molto ramificate di attività di trasformazione – e sia infine per la quantità di risorse comunitarie, derivanti ancora dal precedente ciclo di programmazione 2007-2013, e da quello ormai prossimo, in avvio dal 2014 e vigente sino al 2020.

LA RISORSE DEL SUD

Il Mezzogiorno dunque – lungi dal rappresentare un costo per la collettività nazionale – costituisce una sua risorsa strategica. Vogliamo ricordare alcune delle leve molto forti presenti nel Sud che sono utili all’intero Paese? Pozzi petroliferi fra i più produttivi on shore d’Europa e altre cospicue riserve ormai accertate in Basilicata; riserve di gas in giacimenti sottomarini che attendono solo di essere sfruttate nel pieno rispetto della tutela degli ecosistemi, ma superando anche ostruzionismi dell’estremismo ecologista; primati industriali assoluti a livello nazionale nella produzione di laminati piani, piombo, zinco, etilene, auto e veicoli commerciali leggeri, energia da fonte eolica, conserve di ortofrutta, paste alimentari, grani macinati e nella raffinazione petrolifera, mentre l’industria meridionale concorre con quote significative a produzioni nazionali di energia da combustibili fossili e dal fotovoltaico, aeromobili, Ict, cemento, materiale rotabile, farmaceutica, costruzioni navali, altre sezioni dell’industria alimentare. Forti quote dell’industria localizzata nel Sud, quelle appena citate, documentate da chi scrive nella sua relazione al recente convegno dell’Accademia dei Lincei e della Fondazione Edison sull’economia reale nel Mezzogiorno, svoltosi a Roma il 23 ottobre scorso.

I NUMERI DI FORTIS

E’ noto inoltre – come ha rilevato il prof. Marco Fortis nello stesso convegno – che il valore aggiunto manifatturiero nell’Italia meridionale è stato nel 2010 superiore a quello di Finlandia, Romania, Danimarca, Portogallo, Grecia, Croazia, Slovenia, Bulgaria? Ed ancora, è noto ad esempio che nel Meridione gli addetti all’industria agroalimentare (pari a 124 mila) nel 2010 sono stati di poco inferiori a quelli della Baviera (130 mila), superando invece quelli di Nord Reno Westfalia (114 mila), Catalogna (109mila), dell’area di Parigi (103mila) e del Belgio (95mila), etc., risultando quasi il doppio di quelli della Svezia (65mila)? Ma anche nel settore dell’abbigliamento il Sud ha meno addetti (44mila) della Francia (51mila), ma più del Regno Unito (40mila), della Germania (39mila), della Repubblica Ceca (26mila). Nella stessa produzione di autoveicoli nel Meridione gli addetti ammontano a 42mila, meno della Svezia (66mila), ma superiori di numero a quelli di Catalogna (36mila), Belgio (35mila), Sassonia (31mila), Austria (29mila). Nella raffinazione petrolifera gli addetti nel Sud sono 6mila, meno del Regno Unito (9mila), ma di più dei Paesi Bassi (5.900), Nord Reno Westfalia (5mila), Belgio (4mila), etc.

LE VERE CLASSIFICHE DELL’EXPORT

Alcune province del Mezzogiorno inoltre nel 2012 hanno guidato le graduatorie delle principali province esportatrici del Paese per specifici prodotti, come ad esempio quelle di Chieti negli autoveicoli – sede della Sevel ad Atessa – con 2,4 miliardi di euro, di Siracusa nella raffinazione petrolifera con 8,5 miliardi, e di Salerno nella frutta ed ortaggi conservati con 859 milioni. Altre province come Napoli, Bari, Taranto, Cagliari, Catania, occupano posizioni di rilievo in graduatorie nazionali di altri beni manifatturieri esportati.

LE SFIDE

Insomma, senza sottovalutare in alcun modo i gravi fenomeni sociali esistenti nel Sud e i fenomeni di indebolimento di taluni segmenti dell’apparato produttivo che vi è localizzato – cui peraltro Movimento Sindacale, Istituzioni locali e Governo stanno rispondendo con forti mobilitazioni e varie iniziative per arginarne gli effetti più pericolosi – è opportuno tuttavia sottolineare che la sezione più rilevante della manifattura meridionale è ben lontana dalla raffigurazione che di recente si è voluta darne di un ormai prossimo deserto industriale.

LE OPPORTUNITA’

Al contrario, anche perché massicci investimenti sono appena terminati, o sono stati avviati o sono programmati nei comparti dell’automotive, della raffinazione petrolifera, della generazione di energia da fonti rinnovabili e da combustibili fossili, nell’aerospazio, nella siderurgia, nell’Ict e nella petrolchimica. Insomma, il Sud è una grande convenienza per il Paese ed è possibile localizzarvi nuovi investimenti, partendo proprio dalle qualificate risorse umane e materiali esistenti e dagli incentivi a disposizione delle Regioni.

IL RUOLO DELLE CLASSI DIRIGENTI

Ma le classi dirigenti del Mezzogiorno – senza autoindulgenze per i propri limiti, ma anche senza sterili lamentazioni – devono contribuire ad offrire un’immagine diversa della realtà meridionale più rispondente alle enormi risorse di cui essa dispone e che può offrire per il rilancio dell’Italia.

Federico Pirro – Università di Bari – Centro studi Confindustria Puglia

Corriere della Sera, che cosa penso del meridionalismo di Stella&Rizzo

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