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Nei tempi moderni le guerre terminano perché qualcuno dichiara di aver vinto. La chiave sta nell’individuare un fattore che trasformi le cattive notizie in nuove iniziative politiche e diplomatiche. Richard Nixon incontrò Mao (anche grazie ai buoni uffici dell’Italia) e la guerra in Vietnam terminò. Ronald Reagan si recò a Reykjavik per incontrare Mikhail Gorbachev e la guerra fredda terminò. Nel primo caso, il ritiro americano dal Vietnam aprì la via del commercio trans-pacifico che ancora oggi è uno degli assi geoeconomici mondiali. Nel secondo, la fine della guerra fredda aprì i negoziati per il disarmo nucleare e la nascita dell’Eurasia come fattore strategico e geoeconomico la cui influenza è evidente ancora oggi. Senza il primo l’economia del dollaro sarebbe finita già negli anni ’70, e senza il secondo l’Unione Europea non sarebbe esistita mentre la Russia sarebbe implosa saldandosi strategicamente alla Cina.

Oggi, la tragedia siriana offre una grande opportunità per cambiare d’argomento nelle relazioni internazionali attorno alla vasta area che da levante a ponente si estende dal Marocco all’Afganistan.

La Siria è da sempre stata lo snodo di quella via che da Badgdad a Damasco collega l’Oriente e l’Occidente. Infatti, l’imperiale porta d’Oriente ne controllava i traffici e le informazioni che si scambiavano nei bazar di Aleppo, Bagdad e Damasco. Come i Balcani occidentali, l’area siriana è una terra di minoranze. La Siria è il feticcio della storia millenaria dell’Oriente e dell’Occidente. D’altra parte, non è un caso che Saulo fosse stato folgorato sulla via di Damasco prima di recuperare la vista e la luce con il nome di Paolo. L’esoterica forza atavica delle minoranze è la chiave di lettura da usare in questi territori. Appare evidente che per cambiare argomento la minaccia dell’uso della forza per punire l’uno o l’altro è la più stupida opzione da immaginare. Come Saulo anche Barack è stato folgorato sulla via di Damasco!

Sul terreno resta una realtà fatta di minoranze che necessitano tutte di essere garantite. Per questa ragione, l’ipotesi franco-americana-inglese di agire militarmente solo per l’eliminazione del governante Assad senza garantire gli Alawiti sarebbe insostenibile già nel breve periodo (Libia docet!). Ancor più insostenibile è la strategia del principale gruppo qadista Jabhat al Nusra che vorrebbe sottomettere tutte le minoranze siriane all’estremismo fanatico sunnita con l’obiettivo di creare un califfato della redenzione.

Sebbene sia chiaro a tutti gli attori, locali e internazionali, che lo stile di governo degli Assad sia un macabro e tetro retaggio del passato coloniale europeo, e che debba essere sostituito da una nuova generazione ispirata alla modernità, l’intervento diplomatico della Russia ha fatto emergere in modo chiarissimo che esiste un pericolo più grave e insidioso comune a tutti: Al Qaeda. Il presidente Obama ha inferto certamente un duro colpo a questa organizzazione che ha visto l’eliminazione a colpi di droni di almeno 30 tra i suoi principali quadri dirigenti. Inoltre, Al Qaeda ha commesso numerosi errori strategici che non le hanno permesso di cavalcare con successo la spinta sociale delle ‘primavere arabe’ che chiedevano maggiore apertura e trasparenza mentre i dirigenti di Al Qaeda proponevano ancora il vecchio stile sviluppatosi all’ombra della CIA negli anni ’80, fondato sulla segretezza e sull’oscurantismo del rigore divino. Oggi, il risultato è che Al Qaeda non è stata sconfitta, come vorrebbe la retorica trionfalistica americana, ma che sta ristrutturandosi attraverso una decentralizzazione dei centri di comando, creando alleanze tattiche con i gruppi salafiti (anche in Occidente), e mantenendo chiaro che il nemico da abbattere è la modernità occidentale (che include anche la Russia e la Cina).

A questo punto, all’ombra dei funzionali negoziati sulle armi chimiche siriane, sembra evidente che per cambiare argomento nelle relazioni internazionali si debba abbandonare il fantasma dell’uso della forza e che, mentre i negoziati co-presieduti dalla Russia e dell’ONU continuano, si debba al più presto creare una piattaforma di ri-composizione dell’intera area dal levante al ponente, dal Marocco all’Afganistan.

Le azioni più urgenti sono:

a) Impedire che soggetti privati e statali continuino a fornire sostegno economico e militare alle milizie islamiste sul terreno; su questo, certamente gli americani possono, e devono, intervenire;

b) Riconvertire l’Iran in un fattore di stabilità per la sicurezza della regione; sia gli americani sia gli europei sembrano orientati in questa direzione;

c) Creare un nuovo meccanismo multi-bilaterlare per garantire la navigazione nello stretto di Hormuz (particolarmente per le navi irachene); su questo l’iniziativa non può che essere USA-Russia;

d) Indurre l’Unione Europea a superare lo sterile approccio delle politiche di vicinanza e, invece, investire risorse e capacità per la creazione dell’area economica euro-mediterranea nel quadro dell’area di free trade trans-atlantica; su questo, gli americani dovrebbero abbandonare la logica militare e rilanciare quella politica, ripartendo dal discorso di Obama al Cairo nel 2009;

e) Avviare con urgenza la creazione di una piattaforma politico-diplomatica per la sicurezza e la cooperazione economica che permetta a tutte le parti che hanno interesse nella regione di partecipare sul piano dell’eguaglianza e del rispetto delle rispettive problematiche e sensibilità; a questo proposito, l’esercizio del processo di Helsinki è il più valido nella storia recente. È necessario abbandonare la logica delle “minacce” per entrare in quella dei “fatti” e, ad esempio, riconoscersi tutti nel comune rifiuto del ‘terrorismo’ (inclusa la sua istigazione); in questo, l’OSCE e l’UE possono essere due organizzazioni capaci di sfruttare al massimo gli strumenti di soft-power e di confidence-building;

f) Riconoscere che il futuro sostenibile, benché diverso, sia dell’Afganistan sia di Israele-Palestina non può essere garantito senza la partecipazione attiva e coesa di Russia, Cina, USA e UE.

Mentre è auspicabile che gli USA esercitino la capacità di leadership che compete ad una superpotenza, il ruolo di attori regionali, com’è l’Italia, e di potenti influenti etici, com’è la Santa Sede, e le Chiese e le Religioni, anche orientali, non deve essere sottovalutato. È nostra opinione che il ‘broker’ non sia necessariamente un superpotenza…

Opportunità nonostante la tragedia siriana

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