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Ci si azzuffa indecorosamente per conservare onori, prebende e condizioni di agibilità politica territoriale onde garantirsi comunque un ritorno in parlamento. Per ottenere i risultati personali ambiti è una corsa continua a collocarsi al centro dello scacchiere politico, ridotto ad un cerchio affollatissimo e insufficiente a contenere tutte le ambizioni. Si vuole apparire centristi e moderati, ma intanto si fa a gara a respingere l’idea di morire democristiani; come se ciò fosse un motivo di vergogna e non di onore, purtroppo non conquistabile con l’ipocrisia, la malafede o con la mancanza di una visione d’un futuro democratico.

E, tanto per aggiungere opportunismi ulteriori al confusionismo generale, Letta, indicato come il riferimento di tutte le anime moderate nazionali, si fa andare a benedire dal congresso socialdemocratico europeo. Vale a dire dai diretti antagonisti di quei democristiani europei che dovrebbero invece costituire la casa comune dei centristi e moderati italiani, magari sotto le bandiere di una nuova esperienza di cattolicesimo politico connotato con le scelte chiarissime di De Gasperi, e non dei suoi ultimi, cattivi epigoni.

Le lacerazioni al centro dello schieramento politico non sono la via migliore né per resurrezioni improbabili, né per inedite emersioni di soggetti che, della tecnica economica, credono di poter fare una virtù politica salvifica di un paese moderato alla deriva per eccesso di soggezione a regole comunitarie rivelatesi fallimentari per tutti gli Stati membri, salvo che per la Germania. A ciascuno il proprio mestiere: i banchieri facciano i banchieri, specie se siano economisti dimostratisi perspicaci; ma lascino ai politici il disbrigo degli affari istituzionali e costituzionali.

Naturalmente non è pensabile l’uscita dal tunnel della crisi economico-finanziaria se una classe generale è fortemente condizionata dallo strabordante potere giudiziario. Che non solo impedisce qualunque timida riforma della giustizia, ma occupa ogni più modesto comparto sociale elevandosi ad arbitro e gestore unico di qualsiasi controversia nazionale, muovendosi con piglio reazionario e forcaiolo.

Gli strappi consumati nei giorni scorsi non aiutano a districarsi da un pantano melmostoso. Anzi, hanno già iniziato a riprodurne altri sul territorio, provocando vistose crisi – non solo in Lombardia – di amministrazioni che parevano solide e vanno rivelandosi logore, siano nate sotto il segno del centro come della destra, come della sinistra. Strappando, nessun movimento artificiale potrà garantire vita felice né ai governi locali, né ad un governo centrale sul quale il Pd, così com’è e, ancor più, come sarà dopo l’8 dicembre, pretende di imporci una virata estremista facendosi trascinare dalla voglia di recuperare voti nel magmatico elettorato grillino: un’ossessione viscerale che rende poco lucide le menti dei candidati alla successione di Bersani e Epifani, già di per sé poco inclini ad una politica democratica e non ad una faziosità permanente.

Adesso si parla addirittura di agguati a Letta: orditi da sinistra, non da destra. Si tratta di interpretazioni forse forzate, ma non certo infondate, che la dicono lunga sulla miopia di nomenclature vecchie o nuove già gonfie di vizi antichi.

I rischi degli strappi di Alfano e Mauro

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