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Linda Lanzillotta io la capisco. Mettiamoci per un momento nei suoi panni. Facciamo il caso che, adottando il voto segreto per la decadenza di Silvio Berlusconi, il malefico Cavaliere fosse riuscito a cavarsela per il rotto della cuffia o fosse stato in grado, soltanto, di ottenere più voti a lui favorevoli di quanti attesi sulla carta in considerazione delle prese di posizione dei diversi gruppi a Palazzo Madama.

Tutti sanno, ad esempio, che si temeva un colpo di mano pro Berlusconi da parte dei senatori pentastellati allo scopo di creare difficoltà al Pd, con la base trinariciuta ed assetata di sangue, accusandolo di aver fatto il doppio gioco nel segreto dell’urna.

Chi scrive è convinto che, questa volta, neppure Mandrake potrebbe salvare Berlusconi, ma il personaggio incute tanto timore che, anche quando lo vedranno – il più tardi possibile – nella tomba, i suoi nemici aspetteranno la sua resurrezione.

Bene. Stando così le cose, la vice presidente del Senato non se l’è sentita di correre alcun rischio, perché se anche esistesse una possibilità su di un milione che il ricorso al voto segreto potesse salvare il Cavaliere, il suo voto in Giunta sarebbe stato determinante per questa operazione. Roba da passare alla storia, la quale non ricorda solo re Leonida alla testa dei 300 spartani al Passo delle Termopili, ma anche un tal Efialte che, tradendo, indicò ai persiani la strada per prendere alle spalle i valorosi greci.

In fondo, a Linda Lanzillotta la sorte di Berlusconi non le può fregar de meno. Perché, allora, finire sui libri di storia come colei, che, votando per la segretezza del voto, consentì a Silvio Rocambole di mantenere il cadreghino (ed un simulacro di immunità) e di conseguire un successo politico di tale portata da compiere il giro del mondo in 80 secondi?

Per altro, c’è una parte dell’opinione pubblica, forse minoritaria nelle urne, ma certamente debordante nelle piazze, che non tollererebbe mai un esito siffatto e lo imputerebbe prima di tutto a chi, non aggiungendo il suo voto ai sei che si erano espressi per il voto palese, avrebbe fatto  rotolare la palla di neve che, scendendo, si è trasformata in valanga.

Lanzillotta, quindi, ha tutta la nostra umana comprensione. Ci domandiamo, tuttavia, che bisogno c’era di cercare una giustificazione tecnico-giuridica che non solo non convince nessuno (tranne i parlamentari di Scelta civica, divisi su tutto tranne che su questo punto, almeno a parole) ma che non sta in piedi, neppure a puntellarla?

Per non parlare, poi, delle ulteriori difficoltà che il voto della Giunta del regolamento avrebbe potuto (e potrebbe ancora) creare al governo Letta, se mai Berlusconi decidesse di cambiare atteggiamento, rispetto ai commenti menefreghisti delle prime ore. In ogni caso, la società della comunicazione divora famelicamente le notizie nel giro di pochi giorni.

Così del voto di Linda Lanzillotta non si parlava più fino a quando (sul Corriere della Sera del 4 novembre) ha voluto riaprire il discorso lei stessa, esibendosi in un’arrampicata sugli specchi talmente vistosa che la scalata del K2 a confronto appare una modesta gitarella fuori porta.

Perché chiunque vada a leggere l’art. 113 comma 3 del Regolamento del Senato (“Sono effettuate a scrutinio segreto le votazioni comunque riguardanti persone e le elezioni mediante schede>” non può dubitare che il voto debba essere segreto; quel “comunque” non ammette discussioni.

Infine, l’art. 167 comma 5 recita: “Le modificazioni al Regolamento sono adottate a maggioranza assoluta dei componenti del Senato”. Non è corretto, allora, che un’interpretazione o un precedente (quando mai si è votata la decadenza del proprio avversario politico?) possano aggirare la rigidità che si é voluto dare al Regolamento, imponendo persino una maggioranza qualificata per la sua modifica.

Infine, Linda Lanzillotta raggiunge a nostro avviso livelli eccezionali di faccia tosta, quando, nell’intervista citata, per dimostrare di non essersi espressa per il voto palese, in nome di una pregiudiziale antiberlusconiana (noblesse oblige), dichiara che, pur credendo nella c.d. retroattività della decadenza, si sarebbe dichiarata favorevole, nella Giunta per le elezioni (ed è disposta a farlo in Aula qualora se ne presentasse l’occasione), per trasmettere un quesito alla Consulta (come richiesto dal Pdl), essendo quella tesi ritenuta ammissibile e fondata da insigni giuristi. Bel colpo.

Invece, non le interessano – a quanto pare – i consigli e le valutazioni di giuristi altrettanto insigni che la criticano per aver concorso, nella fattispecie, ad imporre il voto palese in Aula. La cosa divertente (si fa per dire!) è un’altra. Lanzillotta e Della Vedova, ambedue autorevoli esponenti di Scelta civica, hanno scambiato il posto che ciascuno aveva all’inizio.

Benedetto Della Vedova dalla Giunta per il Regolamento (dove era orientato a favore del voto segreto) si è spostato alla Giunta per le elezioni (dove non aveva alcun dubbio sulla legge Severino). Linda Lanzillotta – che sappiamo ora essere stata disponibile a concedere il rinvio alla Corte Costituzionale della legge Severino sulla questione della retroattività – ha percorso il cammino inverso.

Come a dire: la persona giusta al posto giusto e al momento opportuno;  purché si contrasti, comunque, Berlusconi.

Naturalmente, appartenendo al club di Scelta civica, sono richiesti  stile ed eleganza.

 

Perché Linda Lanzillotta sbaglia

Linda Lanzillotta io la capisco. Mettiamoci per un momento nei suoi panni. Facciamo il caso che, adottando il voto segreto per la decadenza di Silvio Berlusconi, il malefico Cavaliere fosse riuscito a cavarsela per il rotto della cuffia o fosse stato in grado, soltanto, di ottenere più voti a lui favorevoli di quanti attesi sulla carta in considerazione delle prese…

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