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Quanto accaduto la scorsa settimana negli Stati Uniti potrebbe aprire nuovi scenari in vista delle elezioni presidenziali?

Da una parte, l’adeguatezza di Joe Biden a continuare ad abitare la Casa Bianca è stata messa in discussione dal rapporto dello Special Counsel, di fede e nomina repubblicana, redatto sulla presunta fuga di documenti avvenuta quando era vicepresidente. Nonostante sia stato scagionato da quelle accuse, il rapporto ha sottolineato le frequenti perdite di memoria del presidente gettando ombre sulla sua salute mentale.

Dall’altra parte, Donald Trump ha stravinto le primarie in Nevada: sia quelle “ufficiali” indette dallo Stato – peraltro senza neppure presentarsi ma limitandosi a indicare di non votare per la rivale Nikki Haley – che il caucus indetto direttamente dal Partito repubblicano. Questi eventi hanno infuso nuove energie in Trump, che oltre ad attaccare Biden attraverso i senatori repubblicani (che hanno invocato il 25º emendamento della Costituzione federale, per la presunta inadeguatezza a ricoprire il ruolo) si è scagliato brutalmente contro gli alleati europei sostenendo che la Russia farebbe bene a invadere quegli Stati che non contribuiscono finanziariamente alle spese della Nato.

Sembra, dunque, che l’ex presidente abbia il vento in poppa in vista delle elezioni che si terranno a novembre. La nomination è ormai in tasca (una rimonta di Haley sembra ormai impossibile) e Biden appare sempre più debole, fiaccato dalle ultime gaffe ma che lo perseguitano tuttavia da decenni, oltre che da un contesto internazionale in cui gli Stati Uniti sembrano faticare a imporre la propria influenza, soprattutto in Medio Oriente dove una tregua tra Israele e Gaza è difficile da ottenere nonostante le continue pressioni sul governo di Tel Aviv. Un “aiuto” (se così si può definire) inatteso è giunto nei giorni scorsi dal presidente russo Vladimir Putin, che ha dichiarato di ritenere Biden più adatto di Trump per la maggiore esperienza politica.

In ogni caso, al di là della complicata situazione internazionale e di presunti endorsement da parte di altri leader, per Trump tornare a occupare il posto di presidente non sarà così facile come sembra per una serie di motivi che rappresenteranno degli ostacoli rilevanti per il suo cammino. Innanzitutto, va considerata la grande complessità del sistema istituzionale ed elettorale americano, dove conta moltissimo come sono disegnati i collegi. Non sempre ottenere più voti in termini assoluti consente di vincere le elezioni (il caso di Hillary Clinton nel 2016, sconfitta proprio da Trump, dopo aver vinto nel voto polare per oltre due milioni di voti, ha fatto scuola). I repubblicani potrebbero avvantaggiarsi al Senato, dove ogni Stato elegge due senatori a prescindere dal proprio peso demografico: prevalendo negli Stati del Mid-West scarsamente popolati, il Partito repubblicano potrebbe aumentare la propria rappresentanza in almeno un ramo del parlamento.

Ma la conversione di voti in “grandi elettori” potrebbe riservare delle sorprese, soprattutto nei tradizionali swing State che nel 2020 hanno premiato Biden. Anche i sondaggi al momento sembrano favorire Trump (le ultime rilevazioni lo danno al 46% contro il 43% per Biden), sospinto anche dall’ultimo sondaggio secondo il quale più dell’80% degli intervistati ritiene Biden troppo anziano per continuare a governare. Eppure, a oggi il margine è troppo stretto per poter fare dei pronostici accurati: senza contare che Trump sta consolidando i propri consensi a destra e recuperando terreno presso le minoranze etniche (afroamericani e latino), ma non riesce a sfondare al centro. È infatti molto probabile che il vincitore sarà colui che riuscirà a conquistare la fetta più ampia di consensi tra quei simpatizzanti repubblicani indecisi che non hanno ancora scelto con chi schierarsi; e difficilmente quel tipo di elettorato voterà per un candidato caratterizzato da toni sempre più estremisti e anti-establishment.

Chi vincerà, dunque? È ancora troppo presto per dirlo. I democratici sono in grande difficoltà, con un presidente uscente che sta perdendo smalto ed efficacia. È però tardi per cambiare candidato in corsa, dato che una scelta simile sarebbe un’ammissione di debolezza e vulnerabilità. Con ogni probabilità si andrà dunque avanti con Biden, cercando di “limitare i danni” e di capitalizzare sui successi economici raggiunti durante la sua amministrazione e speriamo, su quelli della attualità internazionale. Gavin Newsom, governatore della California, considerato tra i più quotati successori di “Sleepy Joe”, resterà per il momento in panchina e proverà a prendere le redini dei democratici dopo le elezioni di novembre. È presto dunque per saltare sul carro del vincitore chiunque esso sia, assecondando una deriva molto italiana.

Importante è considerare che, chiunque sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca, i rapporti con l’Europa rimarranno solidi e decisivi come ha mostrato di recente la guerra in Ucraina. Il sistema istituzionale americano, come noto, si basa su uno straordinario equilibrio di pesi e poteri e non consente epocali sorprese: lo stesso Trump aveva dovuto fare i conti con questi “checks and balances” non riuscendo a cambiare il corso delle elezioni nel 2020.

Nel frattempo, per noi europei le recenti affermazioni di Trump sulle spese insufficienti per difesa e sicurezza dovrebbero essere un ulteriore monito ad accelerare i tempi per dare vita ad un vero “esercito europeo”; chissà che con la nuova maggioranza che si formerà dopo le elezioni europee di giugno si possano finalmente gettare le basi per un progetto simile e che il mondo occidentale a dispetto delle attuali tendenze di una sola persona al comando, non ritrovi quella compattezza di valori e di mezzi che lo preparino alle sfide planetarie in un mondo straordinariamente in via di cambiamento.

Usa 2024, è presto per saltare sul carro del vincitore. Castellaneta spiega perché

Chiunque sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca, i rapporti con l’Europa rimarranno solidi e decisivi come ha mostrato di recente la guerra in Ucraina. Il tycoon? Per tornare alla presidenza deve superare una serie di ostacoli, a partire dal complesso sistema istituzionale ed elettorale americano. Il commento di Giovanni Castellaneta, già consigliere diplomatico a Palazzo Chigi e ambasciatore negli Stati Uniti

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