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Enrico Letta ha parlato. Dopo l’appello di Mukhtar Ablyazov, l’oppositore kazako in esilio a Londra dal 2009 a seguito del caso che riguarda la moglie e la figlia, il premier si è pronunciato nell’interrogazione di oggi alla Camera sulla vicenda.

Letta ha detto che si è disposto un’accurata e articolata indagine interna su quanto è accaduto la notte del 29 maggio per chiarire gli interrogativi sulla vicenda. Nel caso “non saranno tollerati ombre e dubbi”, ha detto il presidente del Consiglio.

“I fatti avvenuti tra il 29 e il 31 maggio scorsi tra Casalpalocco e il Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galleria sono stati oggetto negli scorsi giorni di prime ricostruzioni giornalistiche e di accertamenti giurisdizionali. Il confronto tra le une e gli altri fa emergere evidenti punti di contrasto, rendendo ineludibili ulteriori approfondimenti”, ha detto Letta.

Questione di modi e tempi

Secondo il premier, nel caso sembra trasparire un evidente stacco tra la correttezza formale dei vari passaggi in cui s’è articolata e i crescenti interrogativi sostanziali che ruotano attorno ai tempi e ai modi degli avvenimenti. “Gli interrogativi dunque ci sono e appare legittimo che vengano posti e soprattutto che trovino le risposte dovute”, ha detto.

Per il premier il coinvolgimento di una minore rende tutto ancora più delicato. “Ho disposto un’accurata e articolata inchiesta interna alla quale stanno lavorando in maniera pronta tutti i ministeri e le istituzioni dello Stato coinvolte. I risultati di questa indagine interna saranno resi noti al Parlamento e alla pubblica opinione perché, voglio dirlo molto chiaramente, non saranno tollerate ombre e dubbi”, ha spiegato Letta.

I fatti

La notte del 29 maggio una squadra di agenti della Digos ha fatto irruzione in una villetta a Casal Palocco a Roma. Si cercava il magnate Ablyazov, ex banchiere ricercato per truffa, dopo il mandato di cattura internazionale emesso dal Kazakhstan. Gli agenti non hanno trovato l’uomo ma sì la moglie e la bambina di 6 anni.

Il caso è scoppiato perché la donna ha presentato un passaporto diplomatico emesso dalla Repubblica del Centroafrica e intestato a Alma Ayan. Hanno temuto che il passaporto fosse falso. Così, la donna è stata scambiata per una immigrata clandestina, trasferita in un Cie e successivamente espulsa dall’Italia.

Secondo una sentenza del tribunale di Roma la procedura non è stata corretta perché era basata su un presupposto falso: il passaporto era valido.

Oggi la donna e la bambina sono in ostaggio di Nursultan Nazarbayev in Kazakhstan e dietro al caso c’è l’ombra di un intrigo internazionale di geopolitica e oscuri interessi economici.

I nodi (da sciogliere) sul mistero del Kazakhstan

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