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L’unico alto dirigente dello Ior cacciato con un comunicato dai toni mai visti nei Sacri Palazzi è estraneo “alle condotte incriminate e al modus operandi dell’istituto sul versante dell’antiriciclaggio adottato dai rappresentanti della direzione”. Ettore Gotti Tedeschi, per quattro anni presidente dell’Istituto per le opere di religione (apprezzato da Ratzinger, tanto da essere consultato a più riprese per la stesura dell’enciclica “Caritas in veritate”), esce dall’inchiesta condotta dalla Procura di Roma riguardo le operazioni sospette avvenute all’ombra del torrione di Niccolò V. Tutto ruota attorno a quei 23 milioni di euro trasferiti nel 2010 da un conto aperto presso il Credito Artigiano a uno di Jp Morgan. Un passaggio ritenuto illegale dai magistrati, che hanno individuato altri flussi di denaro che seguono lo stesso percorso ma dei quali “non si conosce né l’identità dei soggetti per i quali davano esecuzione alle operazioni di trasferimento, né le informazioni sullo scopo e sulla natura stessa delle operazioni”. E in queste “operazioni” Ettore Gotti Tedeschi non aveva alcun ruolo, in quanto ha dimostrato di non avere alcuna delega operativa”.

Il presidente dello Ior escluso dalla gestione operativa
Come scriveva sabato scorso sul Corriere della Sera Fiorenza Sarzanini, “l’operazione sui 23 milioni di euro viene inizialmente contestata a Cipriani (ex dg, dimessosi la scorsa settimana, ndr) e Gotti. Ma il 30 settembre 2010, in un interrogatorio davanti ai pm, il direttore generale ammette che le firme in calce ai fax che dispongono il trasferimento di fondi sono la sua e quella del suo vice, Tulli”. Gotti Tedeschi, interrogato poco dopo, conferma e si chiama fuori. “Soltanto in seguito – aggiunge Sarzanini – si avrà la conferma che era stato effettivamente escluso dalla gestione operativa”.
I magistrati, chiedendo per lui l’archiviazione, scrivono: “E’ un dato oggettivo che l’attività di Gotti Tedeschi come presidente è stata essenzialmente orientata a dar vita a una nuova policy dell’istituto nel quadro dell’adozione di un insieme di misure miranti ad allineare lo Stato della Città del Vaticano, sul versante al contrasto del riciclaggio, ai migliori standard internazionali”.

Le nove accuse della Segreteria di stato
Eppure, il 24 maggio 2012 l’allora presidente fu licenziato in tronco. La Segreteria di stato rese noto un comunicato durissimo in cui comunicava che Gotti Tedeschi era stato sfiduciato dal Consiglio di sovrintendenza dell’Istituto per le opere di religione. Nel verbale della riunione si elencavano punto per punto le accuse mosse al numero uno dello Ior: incapacità di portare avanti i doveri di base del presidente; incapacità di essere informato sulle attività dell’istituto e mantenerne informato di conseguenza il Cda; non avere partecipato ai lavori del Cda; mancanza di prudenza e precisione; diffusione di notizie imprecise sull’istituto; incapacità di rappresentare pubblicamente e difendere la banca di fronte a notizie imprecise da parte dei media; eccessivo accentramento; progressivi comportamenti sbagliati ed erratici. Ma è l’ultimo punto, in particolare, ad aver accostato Gotti Tedeschi al caso Vatileaks: “Incapacità di fornire spiegazioni sulla diffusione dei documenti in possesso del presidente”. Erano i giorni dell’arresto di Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa trovato in possesso di documenti riservati trafugati dall’appartamento del Pontefice. Sostenere che il presidente dello Ior non riuscisse a spiegare la diffusione di carte delicate in suo possesso, portò la stampa a includerlo nella lista degli uomini coinvolti nel complotto. Non a caso, il 25 maggio 2012 Repubblica scriveva: “L’accusa, detta a voce, arriva solo in fondo. Ed è secca come una stilettata. ‘Ettore Gotti Tedeschi è stato sfiduciato all’unanimità perché non ha svolto funzioni di primaria importanza per il suo ufficio. E perché era uno dei corvi”.

Il collegamento con Vatileaks
L’uomo dei misteri cui si dovevano imputare le trame torbide dello Ior era dunque Gotti Tedeschi. D’altronde, il segretario del board dell’Istituto, Carl Anderson, spiegava che “il nostro desiderio maggiore è la trasparenza. Ognuno di noi ha una solida reputazione, ma è difficile lavorare con un’immagine di trasparenza se poi dietro l’immagine la trasparenza non c’è”. Ma è proprio questo il punto che secondo il banchiere piacentino aveva portato il consiglio (su indicazione diretta del cardinale Tarcisio Bertone) a cacciarlo: “Pago per la legge antiriciclaggio”, disse pochi giorni dopo la rimozione dalla guida dell’istituto. Come ricordava il Corriere della Sera per entrare nella white list, la Santa Sede ha approvato successivamente due versioni delle norme antiriciclaggio. La prima fu curata da esperti presieduti dell’Autorità di informazione finanziaria presieduta dal cardinale Attilio Nicora, la seconda fu modificata e integrata “per urgente necessità”. Un intervento che Nicora giudicò “preoccupante” al punto da sostenere che “dall’esterno, anche se erroneamente, ciò potrebbe essere visto come un passo indietro”.

“Mitomane e affetto da disfunzioni psicopatologiche”
Ma non era stata solo la presunta trascuratezza dei doveri di presidente a determinare la cacciata di Gotti Tedeschi. Nei giorni immediatamente successivi la decisione del consiglio di sovrintendenza, si diffusero strane voci sulla salute del banchiere. Veline anonime che definivano Gotti “mitomane e convinto che un complotto massonico volesse farlo fuori” e diagnosi mediche in cui si parlava dell’ex presidente come di un soggetto affetto da “disfunzioni psicopatologiche”.  Poco più di un anno dopo, il nuovo Papa avrebbe istituito una commissione d’inchiesta sulle attività della banca vaticana, incaricata di fare piena luce sulle operazioni dello Ior. Qualche giorno più tardi, il direttore generale e il suo vice (che secondo Gotti Tedeschi lo avevano estromesso dalla gestione operativa) si dimettevano dai loro incarichi.

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