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Tra tutti gli argomenti di cui mi sono occupato, per lo meno in questo spazio di formiche.net, mancava, tra gli altri, quello della disabilità.

Parlare di disabilità non è mai facile. È uno di quegli argomenti “sensibili” che non ci sentiamo di affrontare se non nell’ambito della medicina e delle politiche sociali. Ossia, da un punto di vista sanitario o burocratico. Sappiamo della sindrome di down e di come si origina, sappiamo delle terapie per altre malattie debilitanti e degenerative, conosciamo i percorsi di sviluppo delle patologie e il loro, purtroppo, infausto esito.

Sentiamo anche molto parlare delle infrastrutture per la disabilità, delle facilitazioni economiche e dell’assistenza sanitaria domiciliare per i malati gravi. In tutto questo sapere, almeno in Italia (come per molte altre questioni) manca totalmente l’idea dell’assistenza sentimentale, affettiva e anche sessuale ai disabili.

Non voglio essere in questo ambito, quello che fa la parte del progressista duro e puro, perché, per quanto cerchi di dire a me stesso che lo sono, in molte occasioni mi trovo a fare i conti con il mio background culturale, con i miei stereotipi e pregiudizi. Più sovente, con la mia ignoranza di fatti e vicende che vanno ben al di là dei nostri confini. La vita, credo, è fatta per imparare. Riflettere e rimodulare le proprie idee è sintomo, a mio avviso, di senso critico e di voglia di migliorare. Sforziamoci tutti insieme in tal senso.

Il fenomeno di cui voglio parlare è l’assistenza sessuale ai disabili. Proprio così, tra le varie attività di assistenza predisposte per le persone disabili, in alcuni paesi, tra cui il Giappone e la Germania, esistono associazioni che si occupano dell’assistenza sessuale per i disabili.

Collegare i concetti di “disabilità” e “sessualità” assieme ci riesce obiettivamente molto difficile. Una persona disabile, così come una persona affetta da una qualche patologia, ci appare come una “entità” separata dal resto della società. Le persone disabili vivono una condizione di “doppia esclusione”, ossia un’esclusione dovuta alla malattia, che è obiettiva e solo in pochi casi modificabile, e una dovuta al nostro modo di concepire la disabilità e i disabili. Dunque, la prima condizione è data da un fattore indipendente dalla nostra volontà, la seconda è una costruzione sociale. Nel mio ambito, la sociologia, si è fatto poco per analizzare questo aspetto della disabilità, posso citare solo un lavoro svolto qualche anno fa a cura del prof. Cipolla e della prof.ssa Ruspini, dal titolo “Sessualità narrate. Esperienze di intimità a confronto” in cui si trovano alcuni saggi dedicati alla “desessualizazione” del corpo disabile.

L’imbarazzo, a volte, si trova anche in ambiti come la ricerca, dove si dovrebbe fare di più superando, anche in questi casi, il timore di confrontarsi con qualche cosa di “inaspettato” e a volte “sconvolgente”. Certi temi sono fondamentali, poiché ci consentono di riconoscere il limite nostro, di noi che “sani” osserviamo i “malati”. Questo riguarda molti aspetti della vita. Ci sono tantissime cose che ci sfuggono, consapevolmente o meno. Siamo nati e cresciuti entro una certa cultura, con certi valori, e anche quando (alcuni) ne riconoscono la limitatezza, sbarazzarsene è davvero difficile.

Altrove, però, questo passo è stato compiuto. Per esempio, White Hands è una ONG giapponese si occupa di assistenza sessuale per i disabili che fino ad oggi ha offerto aiuto a 370 disabili (che ne hanno fatto richiesta). Perché? Come dice uno dei disabili intervistati e che hanno richiesto questo tipo di assistenza:

“È naturale che io abbia bisogno sessuali. Sono umano. Molti non lo capiscono. Non sono in grado di comprenderlo”

Ed è in effetti così. Questo ragazzo di 30 anni dice di avere forti pulsioni sessuali che non riesce a gestire per un grave deficit motorio. Le mani e le gambe sono parzialmente paralizzate e dunque, oltre ad altri problemi si aggiunge il fatto che questa persone, come tante altre, sono coscienti della loro “sessualità” ma non possono soddisfare I propri bisogni, che sono in effetti “fondamentali” per la salute psicologica di ogni essere umano.

Questa situazione è spesso esacerbata dalla famiglia o da chi se ne occupa. Poiché le famiglie non si rendono conto che lo stato di malattia, di disabilità, non comporta sempre una perdita o assenza di bisogni sessuali o affettivi in generale. Questo viene spiegato bene dalla psicologa Cristina Bartoli, intervistata da Fainotizia.

Questo aspetto è ben spiegato anche da uno dei membri dell’associazione White Hands, che nel video realizzato per supportare l’assistenza sessuale ai disabili, dice:

“Ho sentito una cosa interessante a una conferenza, di recente. La madre di una persona affetta da sindrome di down stava dicendo che il figlio è un angelo completamente libero da ogni desiderio sessuale. Ma in realtà il figlio si eccita ogni volta che in TV compaiono delle ragazze. Eppure la madre ha deciso di ignorare quest’aspetto, nonostante ce lo avesse davanti agli occhi. Il problema è della madre, non del figlio. È la società intera a proiettare idee sul disabile. La madre era accecata dal desiderio che il figlio fosse un angelo, non un essere con pulsioni sessuali. Si impongono i propri sistemi ai disabili. È questo il problema”.

L’assistenza sessuale è altro dalla prostituzione. Manca, in primis, il fine di luco e secondariamente non c’è un coinvolgimento fisico come nell’atto sessuale vero e proprio. L’intervento di assistenza sessuale è realizzato in modo “tecnico” con una preparazione degli strumenti e con una totale impersonalità dell’atto. Non sfugge alle assistenti sessuali la difficoltà di realizzare effettivamente ciò che il cliente/utente desidera, poiché non c’è l’effettiva compartecipazione né emotiva né fisica, ma proprio perché non si parla di prostituzione è giusto che ci sia questo distinguo e che sia percepito.

Sempre nell’intervista realizzata con l’associazione nipponica, una delle assistenti sessuali dice:

“Fornisco assistenza. Le prostitute utilizzano i desideri dei clienti in maniera più esplicita. Ma l’assistenza sessuale che offriamo soddisfa i desideri fondamentali. È la stessa attitudine che si cha per le funzioni vitali di base” Tutti hanno istinti sessuali. Le persone normali li possono gestire autonomamente, in varia maniera. Ma i nostri clienti hanno delle limitazioni fisiche. Per esempio le mani o le gambe paralizzate, così che non possono muoversi liberamente. Non sono in grado di gestire quei bisogni per conto proprio. Lo sento come un dovere. Lavoravo a contatto coi disabili da un po’ quando, un giorno, sono incappata nel problema per caso. Una volta che l’ho scoperto ho sentito il dovere di fare qualche cosa”.

[Il video con le interviste realizzato con White Hands è disponibile a questo link

>> clicca qua << ]

In Italia questa possibilità non c’è. Si possono aprire discussioni di ogni genere su questa iniziativa, per esempio che sembra molto sbilanciata verso la soddisfazione dei bisogni/impulsi sessuali dei maschi, e non delle femmine. Sono pochi o quasi assenti, infatti, nei paesi dove questa opzione è praticata, gli assistenti maschi alla sessualità. Inoltre, occorre valutare anche l’effettivo grado di consapevolezza di chi richiede questo intervento e dunque occorre una preparazione, cosa che in Germania per esempio è realizzata con l’ausbildung, ossia con un vero e proprio corso formativo per assistenti sessuali.

Il mondo al di là del nostro perimetro di vita, è molto di più che non ciò che ci diciamo e che ci viene detto dai vicini di perimetri. Occorre affrontare certe questioni con uno sguardo quanto più libero dal pregiudizio, poiché spesso, troppo spesso, trasliamo le nostre personali convinzioni, volontà e pregiudizi sugli altri, specie se non possono direttamente e convintamente far valere le loro scelte e decisioni.

Accettare anche questo aspetto della disabilità, per esempio, potrebbe essere un modo per migliorare la qualità della vita delle persone che vivono in questa condizione? Potrebbe essere anche un contributo terapeutico e un supporto psicologico ed affettivo vantaggioso? La figura dell’assistente sessuale, può essere pensata anche in Italia senza dare inizio a guerre a colpi di simboli politici o religiosi di vario tipo? C’è la possibilità, anche in Italia di affrontare temi come questo, fino alla questione del matrimonio omosessuale o delle donne che si offrono come portatrici per figli che non saranno mai loro, oltre il limite delle nostre convinzioni e dei nostri personali e collettivi limiti?

La conclusione sempre valida per argomentazioni di questo tipo sarebbe: ai posteri l’ardue sentenza. Così da sbarazzarsi dell’imbarazzo della risposta e la fatica del pensarla. Invece no, questi temi sono da affrontare ora e dobbiamo dircelo se siamo in grado di progredire o meno. In che direzione, sta a noi deciderlo.

Per maggiori informazioni potete consultare il sito italiano dedicato all’assistenza sessuale:

>> qua <<

Oltre lo stereotipo della disabilità

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