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Dal 2011 si assiste ad un peggioramento dei rapporti Usa-Russia. L’attacco alla Libia, cui pure l’Europa ha partecipato, ha creato la terza grande frizione tra Mosca e le cancellierie europee nel giro di un lustro dopo la crisi del gas ucraino del 2006 e la guerra del Caucaso con la Georgia del 2008.

Secondo l’analista del Center for Strategic and International Studies Steven Pifer la Russia potrebbe diventare irrilevante nei prossimi anni per la politica estera di Washington. L’articolo, che ha avuto larga circolazione nei giorni precedenti la disdetta del Summit di settembre Obama-Putin, ne ha di fatto anticipato i contenuti, tanto da poter essere ritenuto una sorta di indiscrezione. Sosteneva Pifer che su Iran e Siria nessuno a Washington si aspetta di strappare altre concessioni da Mosca, e che in fondo lo stesso ritiro americano dall’Afghanistan nel 2014 crea una pesante ipoteca sui russi a diretto contatto con un’area di potenziale instabilità e non più necessari come base logistica della missione internazionale.

Insomma, conclude Pifer, Obama potrebbe scoprire che Putin “non ha più molto da dare negli ultimi tre anni del suo mandato alla Casa Bianca”. Ma tre anni nella politica internazionale sono un’eternità e d’altra parte il primo mandato di Obama ha visto un eccezionale investimento nella creazione di rapporti migliori con Mosca. Settori dell’alta amministrazione che favorirono il famoso “reset” fanno ora discretamente avere il loro appoggio a campagne mediatiche anti-russe condotte attraverso i grandi giornali della Costa Est.

Secondo Dmitri Trenin del Carnegie Endowment of Russia, Obama ha dovuto cedere a pressioni interne sacrificando Mosca piuttosto che la riforma sanitaria.

Dai contenuti “liberal” in difesa delle minoranze in Russia si evince un tratto democraticista dell’offensiva che potrebbe conquistare i cuori dei moderati repubblicani in patria, e che peraltro in Europa ha già trovato un terreno fertilissimo. Va colto forse in relazione ai toni duri di Hillary Clinton contro il progetto di Unione euroasiatica, e con la protesta delle Femen in Ucraina che secondo Julie Leighton sarebbe oggettivamente una campagna contro l’unione con Mosca e a favore dell’adesione a Bruxelles, dove la “narrazione” biopolitica radicale gode di un’ottima immagine.

Il tutto mentre e’ in corso negli stessi Usa una battaglia per screditare o ridimensionare l’operato di John Kerry in Medio Oriente. Su questo terreno, dimostrare il “polso debole” di Obama o forzarlo contro Mosca potrebbe essere congeniale a frazioni interne dei democratici, tanto potenti da strappare argomentazioni ad una (ancora) debole opposizione repubblicana. Ma sarebbe anche molto pericoloso per la stabilità e gli interessi reali (non mediatico-immaginari) dell’Europa.

Re-resetting Russia primo punto per Hillary?

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