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Phoenix, AZ, USA – Il primo incontro con la città, dopo l’atterraggio, i controlli di routine, la verifica del visto, la foto, il rilevamento delle impronte digitali e un brevissimo colloquio (nulla di allarmante come può sembrare, è solo un normale controllo da parte di un Paese perennemente in guerra) è paragonabile alla sensazione che si prova quando si entra in macchina in inverno e si accende l’aria calda. L’unica differenza è che l’aria calda è fuori, quella fredda – condizionata – dentro. Siamo nel deserto, ogni aiuola, ogni incrocio, ogni lembo di terra che costeggia i marciapiedi e le strade è lì per ricordarcelo.
Il paesaggio urbano – se si è europei – può risaltare per il suo apparente squallore, per l’uso spropositato di cemento e per le distanze siderali tra un lato e l’altro della strada. Tutto è grande, dalle automobili alle porzioni di qualunque cosa. Ma ci si abitua dopo poco tempo, e si comincia ad apprezzare il profondo Ovest del mondo.
Phoenix – la quinta città degli USA per estensione – è dominata dall’Arizona State University, la prima università pubblica americana, che popola la città (e non solo, dato che ci sono ben quattro campus in tutto lo Stato dell’Arizona) e la abbellisce con le sue strutture supermoderne. Accanto ai complessi edilizi dell’università si possono vedere spesso palazzi più datati, evidentemente caratterizzati da uno stile diverso, dal sapore quasi antico, che però non stride per nulla rispetto alle nuovissime costruzioni dell’ASU, rigorosamente colorate di giallo e rosso (sembrano i colori dell’A.S. Roma) e di un marroncino che si intona perfettamente col deserto. Il campus è popolato da numerosissime facce sorridenti, provenienti da tutto il mondo. Qui gli studenti hanno fiducia in loro stessi e credono nel futuro. Sono sereni e determinati, non temono di essere presi in giro. Qui dentro comandano loro.
Le autostrade che collegano Phoenix al resto dell’Arizona sono ben curate, anch’esse grandi, con cactus, agavi e altre piante grasse ai lati. Tutto il contrario delle autostrade italiane, squallide e tenute malissimo. Hanno diramazioni che un europeo riterrebbe incredibili, sono grandi ma non per questo trascurate. Le macchine – principalmente Jeep o Track, come si chiamano qui – scorrono veloci e numerose.
Immerso nel verde – caratterizzato principalmente dalle altissime palme che spiccano lungo le larghe strade – mi rendo conto che gli americani dell’Arizona sono riusciti a realizzare un sogno, a concretizzare un’utopia. Gli americani dell’Arizona, pur tra i mille difetti e le altrettante paranoie, sono riusciti in un’impresa: rendere visibile il deserto.

Twitter @FraOnorato

Benvenuti in Arizona!

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