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Pechino non commenta le ultime dichiarazioni di Edward Snowden. “Non abbiamo informazioni da dare”, ha spiegato la portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, nel regolare incontro con la stampa. Questa la posizione del governo nel giorno in cui il South China Morning Post, il più autorevole quotidiano di Hong Kong, ha in prima pagina l’annunciata intervista con la fonte delle inchieste del Guardian e del Washington Post, che hanno svelato il programma di sorveglianza di cittadini statunitensi e no dell’Agenzia per la sicurezza statunitense.

Il 29enne ex consulente della Booz Allen Hamiliton, contractor per la Nsa, si nasconde ora nell’ex colonia britannica. Ampi stralci dell’intervista erano già stati pubblicati ieri sul sito del quotidiano. Snowden ha accusato gli Usa di aver condotto negli anni 61mila operazioni globali di hackeraggio con centinaia di bersagli sia in Cina sia a Hong Kong, compresi imprenditori, studenti, università, funzionari governativi.

Dice così di voler svelare “l’ipocrisia del governo statunitense nel dichiarare di non aver mai avuto come bersaglio le infrastrutture civili, al contrario dei suoi rivali”.

Lo spionaggio informatico è da tempo uno dei temi di maggior frizione tra Pechino e Washington. L’amministrazione Obama ha in diverse occasioni puntato il dito contro pirati considerati vicini all’esercito o al governo cinese, ritenuti responsabili di intrusioni nei sistemi delle agenzie governative e, soprattutto, delle compagnie e delle industrie statunitensi. L’ultima volta che gli Usa hanno sollevato la questione è stato lo scorso fine settimana, in occasione del vertice informale tra il presidente Usa e il suo omologo cinese Xi Jinping, ospite in California.

A proprio difesa i leader cinesi hanno sempre detto che la stessa Repubblica popolare è bersaglio di attacchi informatici. Oggi è stato al contrario il quotidiano China Daily, voce in inglese vicina al governo, a poter definire la sorveglianza statunitense un test per le relazioni tra i due Paesi. Secondo Li Haidong, ricercatore di studi americani alla China Foreign Affairs University, “si è ora scoperto che la più grave minaccia alla libertà individuale e alla privacy degli statunitensi è lo sfrenato potere del loro governo”. Zhang Tuosheng, della China Foundation for International and Strategic Studies ha invece sottolineato al quotidiano come il tema delle conseguenze della sorveglianza e lo spionaggio  sia un campo in cui le due potenze possono collaborare.

Un secondo editoriale, sempre sul China Daily, esorta invece Obama ad affrontare il nodo dello spionaggio dell’Nsa come fatto con l’altra controversa tattica anti-terrorismo, l’uso dei droni di cui nelle scorse settimane è stata annunciata una revisione.

Snowden non ha ancora fornito al quotidiano le prove che dice di avere sullo spionaggio ai danni della Cina. Ha invece detto di volersi affidare al sistema giudiziario dell’ex colonia britannica. L’ex consulente non è stato ancora incriminato, ma l’Fbi ha annunciato l’apertura di un’inchiesta. Gli Usa potrebbero chiederne l’estradizione. Tra Washington e il governo locale c’è un trattato firmato prima del ritorno dell’ex colonia britannica alla Cina. Pechino può tuttavia avvalersi del diritto di veto nel caso l’estradizione minacci gli interessi del Paese, per motivi che riguardano la difesa o la politica estera. È uno dei vincoli della formula “un Paese due sistemi” che regola i rapporti tra la Cina continentale e Hong Kong.

Snowden ha dalla sua gli attivisti per i diritti civili della città, quella stessa società civile che ogni anno in occasione dell’anniversario della repressione di Tian’anmen manifesta per mantenerne vivo il ricordo che la dirigenza cinese vorrebbe cancellare, che denuncia la troppa accondiscendenza del governo locale verso le posizioni di Pechino e che sabato si riunirà davanti al consolato Usa.

Per il momento Pechino sembra voler restare fuori dalla questione. Lo stesso fa il governo di Hong Kong. Intervistato dalla televisione dell’agenzia Bloomberg durante la visita negli Stati Uniti, il chief executive Eung Chun-ying si è trincerato dietro un ripetuto “no comment”.

La reazione cinese alle parole di Snowden

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