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Il grande obiettivo posto dal presidente Usa Barack Obama nel 2010 riguardava l’export e intendeva raddoppiarne il valore entro il 2015. Ad un anno e mezzo di distanza da quel traguardo è chiaro che raggiungere la soglia prefissata sarà molto difficile, ma è evidente soprattutto che a trainare i pur positivi dati sull’export non è il settore su cui Obama aveva riposto speranze ed ambizioni.

Il manifatturiero, spina dorsale dell’economia del Paese, prova a riprendersi ma resta in affanno, e a farla da padrone nell’analisi commerciale complessiva è il settore energetico, quello che incontra più polemiche e il cui boom, con lo shale gas, sembra già destinato a ridimensionarsi.

Il boom energetico

Secondo un’analisi del Financial Times, il valore dell’export di carburante americano è cresciuto più velocemente rispetto a quello di altre merci e materie prime durante la presidenza Obama, finendo per rappresentare quindi un asset strategico nell’ambito del suo obiettivo di raddoppiare le esportazioni entro il 2015.

La bilancia commerciale energetica

I dati mostrano ancora una volta come il boom energetico nazionale, sostenuto da prezzi più alti e esplorazioni di shale gas, stia ridisegnando la composizione dell’economia statunitense. Gli Stati Uniti sono diventati infatti un esportatore netto di carburante nel 2011 per la prima volta negli ultimi vent’anni, con un export crescente che si è accompagnato ad un import in calo.

I numeri

Secondo i dati del Census Bureau Export, il valore dell’export di petrolio e di carbone è più che raddoppiato dai 51,5 miliardi di dollari nell’anno fino al giugno 2010 alla cifra record di 110,2 miliardi nell’anno conclusosi nel giugno 2013. I numeri parlano chiaro secondo Rayola Dougher, consulente della lobby American Petroleum Institute: “Siamo stati un vero e proprio motore di crescita, e questo boom si è verificato mentre il resto dell’economia era in crisi”.

La soglia del 2015: realizzabile?

Nel gennaio 2010 Obama ha stabilito l’obiettivo di raddoppiare l’export entro 5 anni, con un piano ambizioso che puntava a stimolare l’industria di base americana. All’epoca gli Stati Uniti registravano esportazioni mensili del valore di 143 miliardi di dollari, e le merci rappresentavano una fetta da 99 miliardi. Da allora l’export Usa è aumentato gradualmente, ma, sottolinea il Financial Times, l’obiettivo fissato per il 2015 resta difficilmente realizzabile.

La crisi del manifatturiero

I dati di fine giugno registrano esportazioni totali per 191 miliardi con quelle di beni per 134 miliardi, in crescita di circa un terzo rispetto a quelle di tre anni e mezzo prima. Ma se l’obiettivo è stato centrato nel settore petrolifero, il punto debole resta l’attività manifatturiera. “Quando il presidente parla di commercio e di stimolare l’occupazione della classe media, si riferisce al manifatturiero, ai veri stipendi dell’americano tipo”, spiega Alan Tonelson, economista del Us Business and Industry Council. “Obama non pensa certo al petrolio”.

I vincoli allo sviluppo energetico

L’amministrazione Obama ha fatto qualche passo avanti nell’approvazione di misure per stimolare l’export energetico, ma secondo alcuni lobbisti il merito non sarebbe certo da attribuire a Washington. L’accusa? La crescita dell’export energetico si è avverata non grazie ma nonostante le politiche della Casa Bianca. “Basterebbe abrogare alcune leggi per sprogionare la forza del settore”, evidenzia il vice presidente dell’Institute for 21th Century Energy, la Camera di Commercio Usa.

L'export Usa cresce? Obama dica grazie a energia e petrolio

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