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Non solo uno slogan
“Tre passi avanti e nessuno indietro”. Come osservato analiticamente da numerosi studi prodotti da alcuni thin thank italiani, tre sono le priorità alla voce giustizia: 1) processo telematico, con tecnologia in soccorso anche della giustizia civile per abbattere i tempi e non far scappare gli investitori stranieri che per le lungaggini di ricorsi scelgono di non investire in Italia; 2) separazione delle carriere e responsabilità dei magistrati come da referendum proposto (e vinto) dai radiali nel 1996; 3) tempi giusti dei processi, ma senza alzare barricate ideologiche tra giustizialismo e garantismo.

Testi base
Due testi possono rappresentare un punto di sintesi. Il rapporto 2012 del Cepej, European Commission for the Efficiency of Justice del Consiglio d’Europa, rileva che l’esborso per la giustizia civile in Italia è del 36% superiore a quello della media europea. In Italia si spende per il funzionamento dei tribunali 50,3 euro per abitante. Inoltre il report “The inefficiency ok worker time use” di Dario Coviello (Hec Montreal), Nicola Persico (North Western) e Andrea Ichino (Bologna) rileva come una migliore organizzazione del lavoro che eviti la proliferazione in parallelo delle cause e comporti una riassegnazione delle cause dei giudici assenti (ad esempio per gravidanza), possa produrre un sostanziale accorciamento della tempistica. In merito dati significativi si ritrovano anche nel pamphlet “La durata ragionevole dei processi nel dialogo tra giudici italiani ed europei” di Cecilia Sanna (Giuffrè).

Durata record
La Corte di Giustizia europea richiama e condanna periodicamente l’Italia per l’eccessiva durata dei processi: nello specifico a essere violato è l’articolo 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali. In occasione dell’apertura dell’anno giudiziario 2002, i numeri di quel singolo anno lontano un decennio, possono dare la cifra del problema: solo dal 30 giugno 2000 al 30 giugno 2001 si sono avute 276 condanne dell’Italia per un onere finanziario di oltre 17 milioni di euro. Oltre a dodicimila ricorsi già pendenti presso la corte di Strasburgo dei Diritti dell’Uomo. Dati preoccupanti, a maggior ragione nonostante l’inserimento nell’art. 111 della Costituzione Italiana sul giusto processo del principio della ragionevole durata.

Responsabilità
“La responsabilità del magistrato: Saggio di diritto costituzionale” di Francesca Biondi (Giuffrè) offre l’occasione per ragionare sui diritti ma anche sulla sfera dei doveri di chi è investito di un potere così delicato. A questo proposito, Vincenzo Caianiello, Presidente Emerito della Corte Costituzionale, ebbe ad osservare che “la Costituzione (…) non è riuscita a fare da argine alla manomissione costante della configurazione della magistratura che, per come è divenuta, è ben lontana dal modello descritto dalla Costituzione. Essa da ordine si è trasformata in potere”.

Referendum

Su questo come su altri passaggi riguardanti la giustizia è stata avviata dai Radicali la raccolta di firme per cinque quesiti referendari, come la responsabilità civile dei magistrati, la separazione delle carriere, l’eliminazione della custodia cautelare nei reati non gravi per il rischio di reiterazione, le restrizioni per il lavoro di magistrati fuori ruolo e l’abolizione dell’ergastolo. E che si affiancano alla dozzina di referendum per i quali i Radicali, assieme ad altre associazioni e gruppi politici, si preparano a raccogliere le firme (in discussione anche questioni legate a immigrazione, droga, divorzio breve), tra cui quello sui diritti civili.

twitter@FDepalo

 

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