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Caro direttore,

noi liberali e riformatori siamo iscritti al “partito che non c’è” e sogniamo “l’Italia che non c’è”. Nel Pd ci sono i giovani turchi, noi siamo i giovani curdi della politica e della cultura italiana.

Siamo quelli che alla traccia di italiano su Stato ed economia, proposta agli esami di maturità, avrebbero probabilmente avuto i maggiori problemi: se avessimo affermato per iscritto la maggiore efficienza e la superiorità morale del mercato e dell’ordine spontaneo rispetto alla coercizione statale, ci saremmo beccati dalla maggioranza dei docenti – intrisi del loro sessantottismo – l’accusa di essere troppo ideologizzati (noi!), magari di non aver compreso il tema o, chissà, di non aver usato il giusto equilibrio nella nostra esposizione scritta.

Alle scorse elezioni politiche i giovani curdi hanno spesso preso strade diverse, ma in tutti i casi hanno vissuto la medesima insoddisfazione e irrequietezza. Non so se un giorno riusciremo a fondare il nostro Kurdistan ideale, so che smettere di provarci sarebbe sbagliato.

Tra le tante iniziative che animano la piccola e tormentata galassia liberale, la nascita di Italia Aperta è una buona notizia. L’intuizione di Alessandro De Nicola e degli altri fondatori dell’associazione, a cui insieme a molti altri ho fornito il mio poco significativo sostegno, è quella giusta: “invadere” il dibattito pubblico nazionale e locale con i temi che più ci stanno a cuore – la concorrenza, il mercato aperto, il dinamismo sociale, l’inclusività – commentando e dando un giudizio di valore ai provvedimenti pubblici ad ogni livello di governo. Sono argomenti che vanno calati nel quotidiano: spiegati con riferimento a ciò che gli italiani toccano con mano, essi perdono la loro aurea di temi freddi.

Altro che “esercito di Silvio”, qui davvero c’è bisogno di tantissime sentinelle della concorrenza e del merito, per battere il corporativismo sfacciato della società italiana. Se questo è l’obiettivo di Italia Aperta (e la credibilità di persone come Pietro Ichino, Benedetto Della Vedova, Enrico Musso, Alberto Saravalle e gli altri promotori dell’iniziativa è decisamente alta), da domani il nostro Kurdistan un po’ più vicino.

Mentre scrivo questo articolo, leggo sul profilo Facebook di Pasquale Annicchino, un ricercatore dell’Istituto universitario europeo di Fiesole: “Mi par di capire che i liberali italiani fanno più associazioni di quanti voti prendono alle elezioni”. Il sarcasmo di Annicchino è diffuso e non va sottovalutato. Come ha dichiarato lo stesso De Nicola dalle pagine di Formiche.net, Italia Aperta si concentrerà sulla policy, più che sulla politics: sulle politiche e meno sulla politica. Giusto e opportuno. Eppure, perché le idee camminano sulle gambe delle persone, non dobbiamo dimenticare lo stato drammatico in cui verte l’iniziativa politica riformatrice e liberale italiana.

Prima possibile, se non vogliamo continuare ad essere dei giovani curdi abitanti di un Kurdistan che non c’è, bisognerebbe lavorare ad una vera e propria “rifondazione”.

Italia Aperta per rifondare la politica

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