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Un sorpasso epocale attende l’Italia nel 2020: il numero dei 20-30enni verrà superato da quello dei 50-60enni. Questo passaggio comporta un mutamento delle prospettive e abitudini di vita (lavoro, welfare, ecc.). E una correzione di rotta da parte dello Stato.
L’invecchiamento della popolazione interviene per giunta in una stagione già provata dalla crisi economica. Il risultato è che oggi in Italia i giovani se la passano male… E per la verità gli anziani non stanno meglio.

Over 65
Il “welfare all’italiana”, cioè la catena generazionale di nonni, nipoti e figli, è oggi al centro di un meccanismo paradossale: l’aumento delle attese di vita diventa un problema, anziché un motivo di vanto per il Paese, per i costi sociali, sempre più difficili da sostenere.
Ma come stanno gli anziani oggi in Italia?
La loro condizione è fotografata dall’economista Luigi Campiglio. Premesso che “il welfare di una società che invecchia deve essere affrontato avendo come obiettivo primario quello di rovesciare la caduta della natalità”, Campiglio propone di introdurre la non discriminazione legata all’età (come negli Stati Uniti) per consentire agli anziani che lo vogliano di continuare a lavorare, piuttosto che restare inattivi. Perché, contrariamente ai luoghi comuni, non esiste conflitto intergenerazionale in quanto “la gran parte dei genitori aiuta i figli, e i figli si assumono responsabilità che dovrebbero appartenere allo Stato quando i genitori diventano anziani”. Altro luogo comune da sfatare è che gli anziani determinano le opzioni politiche “perché non si spiegherebbero altrimenti i profondi tagli in corso al loro tenore di vita, sia con una progressiva riduzione del potere di acquisto delle pensioni sia con il taglio della spesa sanitaria pubblica”.

Under 35
Ma allora, se la terza età non condiziona le scelte pubbliche, chi ipoteca il futuro dei giovani?
È a rischio addirittura la qualità della democrazia italiana: per Giuseppe Roma, animatore del Censis, “il minor peso delle nuove generazioni e l’inversione dei pesi nel corpo sociale fra giovani e adulti non può che determinare una riduzione del pluralismo e quindi della libertà”. A questo proposito, l’esperto di demografia Alessandro Rosina lancia l’idea un po’ provocatoria di attribuire maggior peso al voto degli under-40 con una ponderazione “in modo che lo stesso individuo possa far contare un po’ di più il suo voto quando è giovane (1,2) e un po’ meno quando è vecchio (0,8)”. Il problema di fondo, e non da oggi, è che “una classe dirigente lungimirante, proprio per consentire al Paese di continuare a crescere, essere dinamico e competitivo, avrebbe dovuto considerare una priorità quella di compensare la riduzione quantitativa del bene-giovani con un suo potenziamento qualitativo”.

Verso una “Io spa”
Purtroppo, fino ad oggi questo slancio è mancato e il risultato è “uno scadimento generalizzato” delle prospettive economiche e sociali dei nuovi arrivati sul mercato del lavoro. Il quale nel frattempo è cambiato molto. Né poteva essere diversamente, nell’età dell’on-line. O dell’all-line, come ci spiega Fabio Savelli, giornalista del Corriere della Sera: è questa la chiave con cui affrontare la “prima Grande depressione ai tempi dei social network”.

Da qualche anno Internet è diventato il termometro della disillusione, dopo la grande illusione che portasse lavoro quasi da solo. Si tratta ora per i candidati di integrare reti virtuali e reti reali per promuovere al meglio se stessi.

Nell’attesa che il governo adotti provvedimenti che rilancino il mercato del lavoro (oggi la disoccupazione tra gli under 25 in Italia è giunta addirittura oltre il 38%), ai giovani conviene puntare sulla “Io spa”. Ecco come funziona la promozione di se stessi secondo Alessandro Rimassa, autore di Generazione mille euro: “Individuare le proprie caratteristiche, fare di sé un brand riconoscibile e costruire un racconto efficace del proprio io professionale”. Nel suo ultimo libro, Personal jobbing, Rimassa propone la combinazione di counseling, personal branding e storytelling. Una ricetta che “non risolve il problema del lavoro mancante, ma aiuta chi ha capacità determinazione e obiettivi concreti” nella palude di un mercato saturo.

Giovani. Pochi ma buoni?

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