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I riflettori di tutto il mondo sono di nuovo su Roma. Per la seconda volta in due mesi il segretario di Stato americano, John Kerry, è stato in visita alla capitale italiana per avviare i lavori diplomatici che porteranno ad un’uscita politica della guerra civile in Siria. Ma in Italia non si è parlato soltanto del conflitto siriano.

In un’intervista con Formiche.net, Paolo Magri, direttore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi), ha spiegato il perché della presenza di Kerry a Roma, la scelta della città per la riattivazione dei colloqui per la pace in Medio Oriente e il ruolo del ministro Emma Bonino, lo stato del regime di Assad e i rischi internazionali di una guerra che ogni giorno sembra degenerare drammaticamente.

Perché Roma come punto di incontro per le discussioni sulla crisi siriana?

Il segretario di Stato Kerry, da quando ha intrapreso il suo mandato, è molto attivo diplomaticamente su tutti i fronti. Proprio prima di arrivare a Roma – dove non si è parlato soltanto della Siria – ha avuto un incontro con la controparte russa Lavrov a Mosca. Sicuramente in quell’occasione i colloqui sulla Siria hanno assunto un’altra valenza.

Qual è il contributo che potrà dare il ministro degli Esteri, Emma Bonino?

Il ministro Emma Bonino rappresenta una figura dallo spiccato carattere internazionale. La sua esperienza politica si è svolta in gran parte nelle sedi istituzionali europee, fin dal 1979, anno in cui fu eletta al Parlamento europeo. Le sue battaglie politiche si sono sempre concentrate su tematiche di natura globale e il suo impegno politico è riconosciuto in ambito internazionale. Si pensi, ad esempio, che è stata una dei pochissimi membri italiani del Board dell’International Crisis Group, una delle più autorevoli organizzazioni internazionali per la risoluzione dei conflitti. Nell’ultimo decennio, inoltre, si è spesa molto per il contesto mediorientale, al punto da trasferirsi per un periodo al Cairo, dove ha studiato anche l’arabo. Queste caratteristiche fanno della Bonino un Ministro degli Esteri che, essendosi formata “sul campo”, conosce profondamente le dinamiche della politica estera.

Gli Stati Uniti avevano detto che, se si fosse oltrepassato il limite dell’uso delle armi chimiche, ci sarebbe stato l’intervento militare. Il magistrato Carla Del Ponte ha detto che l’uso c’è e non solo da parte del regime ma anche dell’opposizione. Quali sono le possibilità che sia vero? Gli Usa interverranno? E se no, perché?

L’allarme lanciato dalla Del Ponte non va assolutamente sottovalutato, anche se alcune fonti ONU hanno smentito le dichiarazioni del magistrato. È interessante, in ogni caso, notare come si sia parlato di armi chimiche non solo usate dai ribelli, ma da quella parte di ribelli che appartiene al fronte islamico di carattere internazionale. Ciò aprirebbe scenari molto preoccupanti, qualora fosse confermato. Sul fronte del regime, gli Stati Uniti hanno recentemente accusato Assad di aver fatto ricorso alle armi chimiche, ma non sembrano ancora intenzionato ad intervenire direttamente. Il motivo è da ritenersi in gran parte economico: Washington potrebbe non riuscire a sostenere un altro interventi militare, dopo quelli in Afghanistan e Iraq.

Il flusso di rifugiati siriani è continuo. Quali sono i rischi regionali (e internazionali) se la guerra civile va avanti e la crisi umanitaria peggiora?

La questione dei rifugiati siriani sta assumendo, giorno dopo giorno, caratteristiche che rendono urgente un intervento della comunità internazionale. Gli stessi paesi confinanti che, fino ad ora, stanno accogliendo il milione – secondo alcune stime questa cifra sarebbe al ribasso – di profughi siriani, soprattutto Giordania, Libano, Turchia, non potranno continuare a lungo a sostenere l’attuale situazione. I rifugiati hanno un potenziale destabilizzante in contesti come il Libano – da sempre sensibile al cambiamento degli equilibri siriani – e la Giordania, la quale vede entrare dentro i propri confini 2.000 siriani al giorno. Stando così le cose, ciò che chiedono questi paesi è un maggiore aiuto da parte degli attori internazionali.

Qual è lo stato del regime? Sono forti o subiscono fratture?

Secondo alcune fonti, il regime di Assad sarebbe vicino al collasso. D’altro canto, però, va sottolineato come sia ormai più di un anno che tali voci si rincorrono, senza che sul campo si assista a una vittoria definitiva dei ribelli. Ciò fa supporre che il regime di Assad è ancora forte, soprattutto in aree nevralgiche come la capitale Damasco, e che, nonostante inevitabili fratture interne, non sia ancora alle fasi finali della sua esistenza. Molto dipenderà dal livello di coinvolgimento degli attori esterni al fianco dell’una o dell’altra forza in campo.

Ecco perché Emma Bonino può favorire la pace in Siria

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