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Del Piano Mattei si è parlato molto, ma si è capito assai poco dove realisticamente voglia andare a parare. Troppe sono le ambizioni che sono state formulate rispetto alle risorse disponibili. Dovrebbe affrontare gli enormi problemi alimentari e sanitari dell’Africa (i primi resi aggravati dalla crisi ucraina), affrontare quelli dell’immigrazione, migliorare la governance, ridurre la corruzione e il trasferimento nei “paradisi fiscali” di gran parte delle risorse trasferite ai vari Stati africani, promuovere la trasformazione dell’Italia in un hub per le materie prime, soprattutto di quelle gasiere e, potenzialmente, anche dell’“idrogeno verde” (prodotto cioè da fotovoltaico), adeguare il livello d’istruzione delle legioni di giovani africani, sfruttando il “dividendo demografico” africano, in attesa che anche nell’intero continente si verifichi la transizione legata all’aumento del benessere e del livello d’istruzione.

Insomma, le previsioni più ottimistiche prevedono una specie di miracolo che trasformi il nostro Paese in un “ponte” fra l’Europa e l’Africa. A parte il chiaro divario esistente fra obiettivi e risorse – contenibile forse solo nel settore energetico per la geografia e per l’esistenza dell’Eni e della Snam – mi sembra che nelle previsioni fatte si sia trascurato il fatto che l’Africa è divenuta terreno di competizione fra le grandi potenze (Cina, Russia, Usa e India/Giappone), nonché di medie potenze (come la Turchia e l’Arabia Saudita) molto più disponibili a una politica “allegra”, non aliena all’uso della forza di quanto lo sia l’Italia.

Inoltre, Roma non ha ricevuto alcun mandato dall’Ue di rappresentarne gli interessi e pilotarne la politica africana, dopo che Parigi si è disimpegnata dal Sahel, ritirando le migliaia di soldati finora che vi aveva dislocato una decina di anni fa per combattere i gruppi jihadisti, collegati ad al-Qaeda e all’Isis. Anche gli Usa hanno ridotto drasticamente la loro presenza in Africa, da quando nel 2016 Trump ha dato priorità alla competizione fra le gtandi potenze rispetto all’antiterrorismo.

L’Africa è un continente ricco di risorse naturali. A parte le regioni desertiche è anche ricco di acqua. Potrebbe garantire gran parte dell’alimentazione della sua popolazione, malgrado la sua enorme crescita. Lo impedisce la frammentazione del continente in 54 Stati, quasi tutti con frontiere del tutto artificiali, tracciate nel periodo coloniale con criteri corrispondenti agli interessi delle potenze coloniali, indipendentemente da ogni criterio etnico. Culturale ed economico. Esiste una certa omogeneità fra le varie regioni. Ma, almeno sinora, l’approccio continentale ha prevalso in tutti i settori su quello regionale. È stato favorito anche dalle classi politiche locali, dato che il primo le tutelava meglio da ogni tentativo di razionalizzazione, che avrebbe inciso sui loro poteri, cioè sui favoritismi rivolti ai loro clan e etnie. Fatto che spiega il gran numero di golpe militari e, negli ultimi anni, la penetrazione del “Gruppo Wagner”. Base dell’influenza russa nella regione (è presente in 19 Stati), poiché – unitamente al trasferimento di armi – fornisce sicurezza ai satrapi locali.

In aumento sono anche i gruppi jihadisti – soprattutto nel Sahel, dallo Shabab del Corno d’Africa, al Boko Haram della Nigeria e della regione del lago Ciad, ad al-Qaeda nel Mali e del Burkina Faso. Da tale regione stanno espandendosi da un lato in Kenya e Mozambico e dall’altro lato in Africa settentrionale. L’intero Sahel è considerato area prioritaria per l’affermazione dello Jihadismo. Occorre ricordare che lo stesso bin Laden aveva profetizzato che lo scontro decisivo fra Islam e Cristianità sarebbe avvenuto in Nigeria. Parlare di Piano Mattei senza affrontare il problema mi sembra veramente improprio. Mi rendo conto di quanto sia difficile farlo, in un’Italia e in un’Europa disarmate culturalmente.

Senza una credibile possibilità d’impiego della forza – quando e se fosse indispensabile farlo – qualsiasi piano perde di credibilità. Il consenso ha sempre limiti. Ma se si impiega la forza, non ci si può limitare a “dare un segnale” o a limitarsi a misure difensive passive, come l’Ue sembra orientata nel Mar Rosso. La dissuasione implica la capacità e soprattutto la volontà di escalation. In caso contrario, meglio restare a casa. Se non altro, facendo così, si evita di farsi corbellare da chi si pretende, ma non si vuole, dissuadere.

Insomma, nel caso del Piano Mattei, mi sembra consigliabile mantenere il più basso profilo possibile, senza invocare l’avvento prossimo venturo di un’Ital-Africa, sostitutiva della Francafrica di buona memoria.

africa mafia

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Il Piano Mattei dovrebbe affrontare gli enormi problemi alimentari e sanitari dell’Africa, affrontare quelli dell’immigrazione, migliorare la governance, ridurre la corruzione, promuovere la trasformazione dell’Italia in un hub per le materie prime, ma sembra che le previsioni abbiano trascurato che l’intero continente è divenuto terreno di competizione fra le grandi potenze (Cina, Russia, Usa e India/Giappone), nonché di medie potenze (come la Turchia e l’Arabia Saudita). L’opinione del generale Carlo Jean

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