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C’è chi l’ha già preventivamente salutata come “una buona notizia per Guglielmo Epifani e per noi tutti” (Pierluigi Castagnetti su Europa). Ma la chiusura di fatto dell’Internazionale socialista non contiene ancora al proprio interno le risposte (moderne) alle nuove sfide della politica europea e mondiale.

Anche se potrebbe contenerle, ma a patto che si cambi copione e attori. Tra pochi giorni, il 23 maggio, muoverà i primi passi l’Alleanza dei progressisti, una sorta di Internazionale 2.0. nata dalla volontà di cinquanta partiti fra progressisti, democratici, socialdemocratici, socialisti e laburisti e su iniziativa della Spd.

Il nuovo contenitore avrà il compito di modernizzare quella “casa comune” guidata per tre lustri da Willy Brandt. A cui hanno già manifestato l’adesione i socialisti francesi e anche il Pd italiano (anche se in un silenzio incomprensibile). La sensazione è che a mollare la vecchia Internazionale sia stata direttamente la Germania, complice il centocinquantesimo anniversario della Spd che cadrà il 23 maggio. E quale occasione migliore per un restyling nei contenuti e nelle forme?

Ma l’accelerazione è dovuta, non solo al fatto che i tedeschi ne sono i maggiori azionisti, bensì perché forse proprio da Berlino e dai rigurgiti anti sistema che lì stanno prendendo forma, sta progressivamente maturando la consapevolezza che non sarà inforcando lenti del novecento che si potranno offrire risposte a problemi diversi rispetto al secolo breve.

Dove il capitolo, ad esempio, dei diritti è intrecciato magmaticamente a quello della libera impresa, su cui “veglia” il sistema bancario complessivo di un continente. Sul quale occorre ragionare questa volta sì con una visione globalizzata, pesando le conseguenze mondiali – e non solo dei singoli continenti – di provvedimenti e decisioni, così come l’anno appena iniziato è stato foriero (si veda la primizia del prelievo forzoso dai conti correnti a Cipro). Immaginare una nuova piattaforma dei progressisti che siano aperti a innovazioni e cambi di passo nel merito di decisioni utili e non comode all’ideologia o alla prossima elezione, dovrebbe essere la direttrice di marcia della nuova realtà.

Anche per scacciare le ingombranti ombre di personaggi scomodi che nell’Internazionale socialista hanno gravitato nel corso degli ultimi anni, come il nicaraguense Daniel Ortega, il partito di Moubarak, o l’ivoriano Laurent Gbagbo quest’ultimo accusato niente meno che dalla Corte penale internazionale. Ma il dado, se giocato bene e in una combinazione vincente, potrebbe in un colpo solo produrre due vantaggi strategici: democratizzare politiche evidentemente sbilanciate a sinistra, tali in quanto figlie di tipicità geopolitiche; gettare le basi per un dialogo permanente con l’altra metà della “mela” politica del pianeta.

Iniziando ad arare un terreno comune nel quale far germogliare un dialogo serio e ragionato sulle grandi questioni di pubblico interesse. Le stesse che in questi dodici mesi sono state inserite nel paniere dell’eurocrisi di cui la troika si è occupata con tanto zelo. Ma senza purtroppo l’ausilio costante di una visione globale dei pro e dei contro.

twitter@FDepalo

Addio all'Internazionale socialista, nasce la nuova casa dei progressisti

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