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Siamo a un passaggio cruciale della “lunga transizione” italiana, alle prese con le risposte da dare alla crisi economica e al tempo stesso con sollecitazioni potenti dal nostro “vicino estero”, Libia e Siria in particolare. E’ in questo contesto che le istituzioni sono chiamate a un doppio lavoro, interno ed esterno, per difendere gli interessi nazionali in una situazione estremamente fluida. Ecco perché la cultura dell’intelligence e la sua diffusione divengono cruciali per promuovere un dibattito politico di livello.

Professor Luciano Hinna, oggi si tiene a Roma, ospitato dall’Enel, un seminario sulla cultura di intelligence. Qual è il senso dell’iniziativa?
Si tratta di un focus che rientra nel piano del master di intelligence economico-finanziaria attivato presso l’Università Tor Vergata. È un approfondimento in cui vengono invitati soggetti esterni al master. Al seminario sono presenti circa 90 aziende, che si confrontano sui temi dell’intelligence economica. L’idea è quella di costruire ponti, non più muri, tra i soggetti interessati alla difesa degli interessi nazionali, ovvero imprese e istituzioni.

Come sono cambiate funzioni e cultura dell’attività di intelligence, da quando l’aspetto economico è diventato centrale?
Ci sono stati due o tre cambiamenti di norma che hanno accompagnato questo cambiamento. Il primo paradigma forte è quello che la sicurezza del Paese passa dalla sicurezza delle imprese e viceversa. In questo ambito il Dipartimento di informazioni per la sicurezza (Dis) è il vero “ponte”. Il secondo è avvenuto nei mesi scorsi, quando il precedente governo ha dato mandato al Dis di studiare tutti i problemi del cybercrime, la guerra cibernetica che colpisce sia imprese che istituzioni. È un tema caldo, molto trattato anche in America, dove ormai Obama taglia i marines e investe sugli hacker…

E poi c’è la crisi economica…
Esatto, la crisi mette in luce la debolezza del nostro sistema economico in questo momento storico. Con fondi sovrani e capitali stranieri che fanno shopping a prezzi stracciati, comprando marchi simbolo dell’Italia.

Un problema che chiama in causa le Pmi avanzate nazionali
Che in effetti definisco come l’anello debole del sistema, perché in questo settore manca la percezione del rischio. Anche le due pur ottime relazioni che prendiamo in considerazione del seminario di oggi, quella del Dis e quella del Copasir, contengono molti dati interessanti per le grandi imprese ma lasciano un po’ scoperte le Pmi. Eppure si tratta di un architrave dell’economia italiana, oggetto di acquisto da parte di gruppi esteri che così acquisiscono know how e punti di appoggio nella Penisola, abbastanza facilmente vista la difficoltà in cui versano la maggior parte delle imprese.

Quali sono i settori più sensibili per la difesa strategica dell’economia italiana?
Oltre ai tre classici comparti (finanza, energia e tlc) io citerei anche il trattamento dei rifiuti, per le infiltrazioni criminali che lo attraversano, da nord a sud.

Qual è la consapevolezza tra le forze politiche e parlamentari dei temi della sicurezza economica?
La consapevolezza c’è, ed è segnalata dalla norma sulla golden share approvata dal Parlamento. Quello che manca è un piano industriale a monte che ci dica cosa è strategico e cosa no. Questo ci lascia sguarniti in settori che, a livello di percezione, sono considerati fondamentali, come l’agroalimentare. Si pensi che da qui passano contraffazioni di prodotti italiani per un valore di 60 miliardi di euro, eppure manca un quadro chiaro di interventi e presidi pubblici. Tanto è vero che pezzi importanti del nostro sistema sono passati all’estero, come Parmalat.

La dimensione europea influisce sulle strategie di intelligence economica nazionale?
Siamo ancora lontani da una difesa economica europea. Ma c’è un passaggio importante, specie per un Paese di export come il nostro: mentre prima difendevamo i nostri giocatori quando giocavamo in casa, adesso pensiamo di assisterli quando vanno all’estero. Certo, è una prassi che da tempo i nostri concorrenti mettono in campo. Ma è meglio tardi che mai…

Pmi in mani estere, questione di interesse nazionale. Parola del prof. Hinna

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