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“VeDrò al Governo?” La domanda che Francesco Delzìo, direttore Relazioni esterne, Marketing e Affari Istituzionali di Autostrade per l’Italia e autore di “Generazione Tuareg”, poneva poche ore fa su Twitter è, ora che Giorgio Napolitano ha conferito l’incarico a Enrico Letta, una certezza. E allora Formiche.net si è rivolta al manager e co-fondatore del “think net” lettiano VeDrò per conoscere meglio il nuovo presidente del Consiglio.

Delzìo, quanto sarà “veDroide” il nuovo esecutivo?
Enrico Letta presidente è una bellissima notizia per l’Italia. Lo conosco bene e abbiamo bisogno della sua capacità di approfondire i problemi e di mettere insieme mondi diversi. VeDrò è nata otto anni fa per far incontrare generazioni e culture differenti. E questo è proprio ciò di cui ha bisogno il Paese, vittima in questo momento di un livello di frammentazione balcanico che non ha eguali in Occidente, non solo a livello politico. L’antidoto migliore per questo è un uomo che sa unire come ‘Enrico’.

Letta però dovrà ritrovare l’unità anche a casa sua, nel Pd. La partita del Quirinale ci consegna l’immagine di un partito che non ha retto e si è diviso in mille pezzi.
Sì, è vero e penso che l’eventuale scelta di Letta a Palazzo Chigi e Matteo Renzi a capo del partito sia per il Pd l’uso migliore delle risorse che ha a disposizione. Letta per le qualità che ho indicato, il sindaco di Firenze perché rappresenta il momento di rottura che occorre al Pd per rinascere.

A proposito di rinnovamento, c’è chi accusa Letta di rappresentarlo poco. Andrea Scanzi del Fatto Quotidiano ha scritto su Twitter: “Volevamo il cambiamento. Ci hanno dato Enrico #Letta. Come andare a Woodstock e trovarsi sul palco Orietta Berti”.
(Ride) In realtà Letta ha un tasso di innovazione più forte e radicale di quello che immaginano i giornalisti e gli italiani che lo conoscono soprattutto per i suoi toni misurati. Bisogna distinguere l’innovazione da talk-show da quella reale sui contenuti. ‘Enrico’ corrisponde a quest’ultima. Non a caso il primo tema citato nel suo discorso dopo che Napolitano gli ha conferito l’incarico è stato il lavoro. Con lui si sposano la visione attenta ai diritti come l’art. 18 e la conoscenza profonda del mondo delle aziende che lo porteranno a dire che il problema maggiore da affrontare oggi è il peso del fisco sull’assunzione dei giovani. Solo abbattendo le tasse nei primi tre o cinque anni dei nuovo assunti, il Paese può ripartire”.

Chi sono gli amici politici e non a cui Letta chiederà consigli per il suo lavoro a Palazzo Chigi?
Sicuramente Romano Prodi. E poi, li ha citati lui stesso nel suo discorso, Giuliano Amato e Matteo Renzi. Letta ha poi un network istituzionale e imprenditoriale di altissimo livello, è considerato da sempre l’interlocutore di riferimento dall’intero mondo delle imprese e dei sindacati riformisti. Sicuramente le persone da consultare non gli mancano. Anzi, dovrà avere molta capacità selettiva…

Difetti?
La sua capacità di mediare non deve diventare un punto di debolezza, non deve mai portare a mediazioni al ribasso. Ma sono sicuro che non sarà così per due fattori. Innanzitutto la situazione di emergenza del Paese, tale da pretendere soluzioni radicali. Dall’altra l’aver fatto più di un’esperienza di governo e non essere legato a vecchi schemi concertativi. La sua concertazione sarà quella che non è riuscita a Monti: dinamica. Consulterà tutti, ma poi prenderà lui la decisione migliore in base alle esigenze dell’Italia.

Ci sono aneddoti che ci può raccontare utili a farci capire meglio chi è Enrico Letta?
Direi il momento nel quale sono diventato suo amico e ho contribuito alla fondazione di VeDrò. ‘Enrico’ ha avuto l’idea, voleva esportare dagli Stati Uniti il cosiddetto “modello Colorado” dell’Aspen Institute, ma più aperto. Mi ha conquistato con la sua idea che la nuova generazione dovesse creare qualcosa di nuovo, più che mantenere qualcosa creato da altri. Io a quell’epoca ero direttore dei giovani di Confindustria e la sua generosità “generazionale” mi ha colpito.

Con lui viene messa per la prima volta alla prova a Palazzo Chigi la cosiddetta “generazione X”, quella dei 30-40enni.
Io preferisco chiamarla “Generazione Tuareg”. Negli ultimi anni, i 30-40enni sono arrivati alla drammatica conclusione di non poter incidere in Italia e che l’unica soluzione sia la fuga all’estero o il rifugio nell’iper-individualismo. Letta con la sua “passione generazionale” potrebbe ribaltare questa idea, far passare il messaggio che vale la pena battersi per il nostro Paese. Oltre alla sfida politica, ha sulle sue spalle un commitment di tipo psicologico. Un grande compito generazionale lo aspetta. In bocca al lupo!

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Enrico Letta

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