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Poiché ormai viviamo immersi in un alveare statistico, ci sono alcune cose che dovremmo ricordarci quando maneggiamo i dati.

La prima è una sentenza immortale di Mark Twain: “Le bugie si dividono in tre grandi gruppi: le piccole, le grandi e le statistiche”.

La seconda è che i tecnicismi della statistica nascondono tali e tante sfumature che sovente il senso ne esce capovolto a seconda dell’indicatore scelto. O, per dirla stavolta con Gregg Easterbrook, “se torturi i numeri abbastanza a lungo, confesseranno qualsiasi cosa”.

Tali riflessioni mi sono sorte dopo aver letto una ricerca della Banca centrale europea sulla ricchezza delle famiglie europee pubblicata alcuni giorni fa e alla quale avevamo già accennato (http://thewalkingdebt.wordpress.com/2013/04/10/la-distruzione-del-risparmio-italiano/).

Lavoro commendevole, senza dubbio, pur con le premesse che abbiamo fatto e con la sottolineatura che i dati a cui fa riferimento sono del 2010, quindi leggermente out of the money, come direbbero quelli bravi. Insomma: non tengono conto degli sfaceli degli ultimi due anni.

Ciò malgrado vale la pena leggerlo perché ci dice alcune cose e spiega molto del dibattito politico ormai incandescente sul futuro dell’eurozona.

Partiamo da un indicatore: la ricchezza netta. La Bce, per misurare il livello di ricchezza netta delle famiglie europee, definita come la differenza fra il totale degli attivi e quello dei passivi, usa due diversi strumenti statistici, la ricchezza netta media e la ricchezza netta mediana. Una sfumatura, appunto, che i non appassionati del genere tendono a confondere.

Invece è utile spenderci qualche parola. La media di una serie di numeri è la somma algebrica delle quantità divisa per il loro numero. Esempio: i numeri 2, 4, 6, 10, 15 esprimono un valore medio pari a 7,4. Il valore mediano, invece, è il numero centrale della serie considerata. Quindi nel nostro esempio vale 6.

Tale precisazione è importante per comprendere le tavole stampate dalla Bce. Qui leggiamo che i poveri tedeschi hanno la ricchezza netta mediana più bassa d’Europa, pari ad appena 51.400 euro, quasi la metà dei greci, 101.900 euro. In Italia tale mediana vale 173.500 euro, in Spagna 182.700, in Portogallo 75.200 e, udite udite, a Cipro ben 266.900, al secondo posto dopo il Lussemburgo, che quota 397.800 euro.

Fanno bene ad essere arrabbiati, i poveri tedeschi, con i Pigs.

Se andiamo a vedere il valore medio, però, le cose cambiano e parecchio. Sempre i poveri tedeschi schizzano a quota 195.200 euro a famiglia, i greci a 147.800, gli spagnoli a 291.400, i francesi a 233.400, gli italiani a 275.200, i portoghesi a 152.900 e i ciprioti addirittura a 670.900. Insomma nei paesi che stanno fallendo le famiglie sono più ricche che nei paesi che stanno in salute.

Che significa? Ci aiuta a capirlo un’analisi svolta dagli economisti Paul De Grauve e Yuemei Ji pubblicata su Vox.

Il confronto fra il valore medio e quello mediano della ricchezza, come si può anche arguire dall’esempio fatto sopra, dice molto su come tale ricchezza sia distribuita. Una grande differenza fra i due implica che c’è una grande diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza.

In Germania ad esempio la ricchezza media è 3,79 volte quella mediana: il valore più alto dell’eurozona. Ciò implica che la ricchezza in Germania sia concentrata su poche famiglie, molto più che nel resto dell’eurozona.

E d’altronde con le politiche seguite nel mercato del lavoro tedesco sarebbe stato strano il contrario.

I nostri due economisti hanno calcolato che il 20% più ricco dei tedeschi ha una ricchezza 149 maggiore del 20% più povero. Un primato, visto che la seconda classificata è la Francia, dove tale valore si ferma a 80, mentre noi italiani, e con noi gli altri Pigs, stiamo intorno a 10.

Quindi non è che le famiglie tedesche siano più povere di quelle del sudeuropa.

Semmai le loro famiglie risultano statisticamente più povere perché quelle benestanti hanno più ricchezza.

Per dirla in altro modo, a fronte dei finti poveri tedeschi, ci stanno i falsi ricchi dei Piigs.

Se poi andiamo a vedere i dati relativi non solo alle famiglie, ma all’intero sistema paese, quindi lo stato e le aziende, viene fuori che lo stock di capitale pro capite detenuto dai tedeschi è più basso solo di quello olandese, mentre Italia, Spagna, Irlanda, Grecia e Portogallo si collocano in coda.

Lo studio dei due economisti, insomma, restituisce un po’ di senso alla realtà statistica.

Ma c’è un’altra cosa che non dice e che si deduce leggendo il resto dello studio Bce. Nel computo della ricchezza netta, la Bce include anche i valori immobiliari che, ricordiamolo, in Germania sono fra i più bassi d’Europa, visto che il paese non è stato sfiorato dal boom dei primi anni del 2000.

Al netto di tali valori immobiliari, che pesano notevolmente nei Piigs (che infatti hanno avuto una rilevante crescita del mattone) le cifre cambiano e di molto.

Ve le risparmiamo.

Vi basti sapere che sarebbe meglio essere finti poveri tedeschi che falsi ricchi italiani.

L’Europa dei finti poveri e dei falsi ricchi

Poiché ormai viviamo immersi in un alveare statistico, ci sono alcune cose che dovremmo ricordarci quando maneggiamo i dati. La prima è una sentenza immortale di Mark Twain: “Le bugie si dividono in tre grandi gruppi: le piccole, le grandi e le statistiche”. La seconda è che i tecnicismi della statistica nascondono tali e tante sfumature che sovente il senso…

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