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Compito del blogger è anche quello di raccontare istantaneamente qualcosa lasciando libero il campo alle emozioni. Quando scompare una persona vengono sempre in mente le cose più scontate del mondo, tralasciando di parlare del pensiero e dell’agire di una vita.

Quando si spegne una voce, tocca a chi ha creduto in quella voce il compito di amplificarla. Solo così quella voce avrà un senso e la persona vivrà per sempre.

Questo il mio ricordo di Franca Rame

Personalmente sono stato colpito da un episodio in particolare. Da una lettera  di dimissioni http://www.francarame.it/files/manchette_dimissioniFR.pdf . Gesto inconsueto, inusuale e che appartiene a chi non vuole stare in un posto perché non vuole starci a certe condizioni, purtroppo molto conosciute. E quando questo posto è il Senato il significato è enorme.

Un gesto che mi è rimasto impresso per le analogie con quello di Sciascia. Infatti i due erano molto amici. E le belle anime si riconoscono non dalle parole ma dai fatti coerenti con la propria condotta perché “si è come si è”.

In questo breve ricordo vorrei solo amplificare la sua voce:

“io mi sono sentita “prestata” temporaneamente alla politica istituzionale, mentre l’intera mia vita ho inteso spenderla nella battaglia culturale e in quella sociale, nella politica fatta dai movimenti, da cittadina e da donna impegnata. E questo era ed è il mandato di cui mi sono sentita investita dagli elettori: portare un contributo, una voce, un’esperienza, che provenendo dalla società venisse ascoltata e magari a tratti recepita dalle istituzioni parlamentari. Dopo 19 mesi debbo constatare, con rispetto, ma anche con qualche amarezza, che quelle istituzioni mi sono sembrate impermeabili e refrattarie a ogni sguardo, proposta e sollecitazione esterna, cioè non proveniente da chi è espressione organica di un partito o di un gruppo di interesse organizzato.

 Posso dire serenamente di essermi, dall’inizio del mio mandato a oggi, impegnata con serietà e certamente senza risparmiarmi. Ma non posso fare a meno di dichiarare che questi 19 mesi passati in Senato sono stati più duri e faticosi della mia vita. A volte mi capita di pensare che una vena di follia serpeggi in quest’ambiente ovattato e impregnato di potere, di scontri e trame di dominio.

L’agenda dei leader politici è dettata dalla sete spasmodica di visibilità, conquistata gareggiando in polemiche esasperate e strumentali, risse furibonde, sia in Parlamento che in televisione e su i media. E spesso lo spettacolo a cui si assiste non “onora” gli “Onorevoli”.

Al Senato non si usa ascoltare chi interviene, anche se l’argomento trattato è più che importante.No, la maggior parte dei presenti chiacchiera, telefona su due, tre cellulari, legge il giornale, sbriga la corrispondenza…

In Senato, che ho soprannominato “il frigorifero dei sentimenti” non ho trovato senso d’amicizia. Si parla… sì, è vero… ma in superficie. Se non sei all’interno di un partito  è assai difficile guadagnarsi la “confidenza”. A volte ho la sensazione che nessuno sappia niente di nessuno… O meglio, diciamo che io so pochissimo di tutti.

 Che dire dei deputati e senatori condannati e inquisiti che ogni giorno legiferano e votano come niente fosse?

 Che dire del costante ricatto, realizzato da questo o quell’onorevole, di far cadere il governo per cercare di ottenere privilegi o cariche?

 

Quante volte, per non farlo cadere, ‘sto benedetto governo, ho dovuto subire il ricatto e votare contro la mia coscienza? Troppe. Tanto da chiedermi spesso: “Cosa sono diventata? La vota rosso vota verde?”.

 

Credo che il mio malessere verso queste scelte sia ampiamente condiviso dai molti cittadini che hanno voluto questo governo, e giorno dopo giorno hanno sentito la delusione crescere, a seguito di decisioni sempre più distanti da loro, decisioni che li hanno alla fine, allontanati dalla politica.

 

In queste condizioni non mi sento di continuare a restare in Senato dando, con la mia presenza un sostegno a un governo che non ha soddisfatto le speranze mie e soprattutto quelle di tutti coloro che mi hanno voluta in Parlamento e votata. La prego quindi signor Presidente di mettere all’ordine del giorno dell’Assemblea le mie irrevocabili dimissioni.

 

Non intendo abbandonare la politica, voglio tornare a farla per dire ciò che penso, senza ingessature e vincoli, senza dovermi preoccupare di maggioranze, governo e alchimie di potere in cui non mi riconosco.

 

Non ho mai pensato al mio contributo come fondamentale, pure ritengo che stare in Parlamento debba corrispondere non solo a un onore e a un privilegio ma soprattutto a un dovere di servizio, in base al quale ha senso esserci, se si contribuisce davvero a legiferare, a incidere e trasformare in meglio la realtà. Ciò, nel mio caso, non è successo, e non per mia volontà, né credo per mia insufficienza.

È stato un grande onore, per il rispetto che porto alle Istituzioni fondanti della nostra Repubblica, l’elezione a Senatrice, fatto per il quale ringrazio prima di tutto le donne e gli uomini che mi hanno votata, ma, proprio per non deludere le loro aspettative e tradire il mandato ricevuto, vorrei tornare

a dire ciò che penso, essere irriverente col potere come lo sono sempre stata, senza dovermi mordere in continuazione la lingua, come mi è capitato troppo spesso in Senato.

 

Era il 15 gennaio 2008.

Era Franca Rame, coerenza, impegno, passione.

Grazie, Franca

Grazie, Franca

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