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Il Decreto sui pagamenti dei debiti delle PA, la cui conversione è stata approvata in prima lettura alla Camera, è forse uno dei provvedimenti più sottovalutati degli ultimi anni, in un contesto in cui per altro sono abbondati i provvedimenti sopravvalutati.

Stiamo trasferendo quaranta miliardi di euro di disponibilità finanziarie dalle casse del settore pubblico a quelle del settore privato.

E lo stiamo facendo non perché abbiamo chiesto all’Europa un aiuto che pagheremo in termini di limitazioni di sovranità, ma perché abbiamo potuto pretendere dall’Europa la flessibilità che può essere concessa a chi, come noi, ha saputo risanare i propri conti e creare le condizioni per uscire finalmente dalla procedura per deficit eccessivo.

Un risultato eccellente che testimonia la bontà del lavoro svolto dal Governo uscente, pur tra le mille difficoltà di una crisi senza precedenti.

Non vi è dubbio che il pudore, per non dire la vera e propria ritrosia, nel celebrare la rilevanza economica di questo risultato – ed il suo significato politico di discontinuità ed inversione di tendenza dopo sei lunghi anni consecutivi di austerità di bilancio – discenda dal poco tempo ancora passato da una campagna elettorale a tratti surreale, in cui si è fatto a gara nell’accusare quello stesso Governo uscente delle peggiori inettitudini anche nei punti di sua maggiore forza ed efficacia.

Oggi tocchiamo tutti con mano come il rigore di bilancio può dare frutti.

E sottolineiamo “può”, perché non è detto che accada; come del resto, in effetti, non è accaduto in passato.

L’austerità di bilancio e le politiche finanziarie restrittive non sono state una novità degli ultimi 18 mesi.

È dal 2006 che, senza soluzioni di continuità, l’Italia conosce esclusivamente politiche di incremento o al massimo mantenimento del livello di pressione fiscale e, parallelamente, politiche di più o meno ben congeniato contenimento della spesa.

Corollario inevitabile di un quinquennio, quello dal 2001 al 2006, di spese folli e riduzioni di pressione fiscale finanziate a colpi di condoni e una tantum invece che mediante riforme strutturali.

Dal 2006 al 2008 abbiamo avuto l’austerità di bilancio del Governo Prodi che ha aumentato la pressione fiscale dal 40% al 42,5% e posto un primo freno alla crescita incontrollata della spesa.

Dal 2008 al giugno 2011 abbiamo avuto l’austerità di bilancio del Governo Berlusconi che ha mantenuto costante la pressione fiscale, senza diminuirla, ma neppure aumentandola, e ha ulteriormente stretto i cordoni della spesa.

A giugno 2011, con la definitiva esplosione della crisi dei conti pubblici a lungo negata, abbiamo avuto l’austerità da “stato di emergenza” che ha comportato l’assunzione di impegni con l’Europa di rientro immediato e costretto il Governo Berlusconi a varare manovre che determinavano un nuovo balzo della pressione fiscale.

Basta infatti leggere l’ultimo Documento Economico Finanziario del Governo Berlusconi, approvato il 22 settembre 2011, dopo le due manovre estive e gli impegni assunti in sede europea, per vedere che già allora risultava prevista per il 2012 una pressione fiscale del 44,07%, per il 2013 del 44,84% e per il 2014 del 44,83%.

Nel 2012, infine, abbiamo avuto l’austerità di bilancio del Governo Monti che si è fatto carico di attuare e declinare, in aumenti delle imposte indirette piuttosto che dirette, l’impegno politico e di bilancio di aumento della pressione fiscale già assunto dal Governo precedente e di avviare politiche non già di mero mantenimento dei livelli di spesa, bensì di loro vera e propria riduzione.

Sul punto, basta ricordare che, per il 2012, la minore spesa corrente a bilancio che risulta dal DEF 2013 approvato la scorsa settimana, rispetto a quella che si prevedeva nell’aggiornamento del DEF di settembre 2011, è di 13 miliardi; sul 2013 questo differenziale sale a oltre 16 miliardi e sul 2014 arriva a superare i 23 miliardi.

Ora: in questa ininterrotta quanto necessitata serie di politiche di rigore dei conti succedutesi per tutti gli ultimi sei anni, quale è la principale differenza che ne marca anche, evidentemente, la diversa efficacia?

Proprio un provvedimento quale quello sui pagamenti dei debiti delle PA.

Le politiche di austerità dei Governi precedenti hanno infatti avuto come corollario altre politiche di austerità ancora maggiore.

Quelle del Governo Monti hanno avuto come corollario un provvedimento con il quale, per la prima volta dopo sei anni, si trasferiscono 40 miliardi di disponibilità finanziarie dalle casse del settore pubblico a quelle del settore privato.

Con le parole possiamo fare qualsiasi altro tipo di valutazione, ma se ci atteniamo invece ai fatti, non c’è altro da dire e c’è invece molto, veramente molto, su cui riflettere.

Enrico Zanetti

Deputato Gruppo Scelta Civica – Vicepresidente Commissione Finanze Camera

(articolo tratto dall’intervento di Zanetti svolto oggi in aula della Camera)

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