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In questi giorni, non mancano le notizie, sia politiche sia economiche, per alimentare la stampa. Quindi, è difficile comprendere lo spazio concesso da Il Corriere della Sera al documento presentato dal fondo americano Bridgewater ai propri clienti e divulgato “al colto ed all’inclito” nel corso di una conferenza organizzata, in quel di Hong Kong, dall’Institute for New Economic Thinking. Non solamente i temi del rapporto erano noti da tempo ma, tutto sommato, sono molto meno innovativi di quelli presentati alcuni mesi fa dal World Gold Council anche in riunioni a Roma con esponenti delle istituzioni italiane.

I rischi e le opportunità

Tuttavia il documento consente di tornare su tema che in questi giorni si tende a trascurare: l’euro è in bilico e – come sanno gli economisti che hanno studiato il modello di Black-Scholes-Merton sull’incertezza – ciò comporta rischi ma anche opportunità. Nell’attuale situazione, l’Italia può essere il birillo che può fare saltare la moneta unica quale configurata a Maastricht.

La posizione dell’Italia

Ciò è un punto di debolezza poiché l’Italia ha già subito dati (secondo la stessa Commissione Europea) una fiscal devaluation del 30%, espressasi segnatamente in contrazione dei salari, ed una fuoruscita dall’euro potrebbe comportare un’ulteriore perdita di potere d’acquisto per gli italiani (ed uno slancio competitivo di breve periodo per le imprese). Ciò è anche un punto di forza perché la minaccia di un ‘fuga dall’euro’ dell’Italia metterebbe a rischio l’intera costruzione data la situazione in cui versano Cipro, Grecia  Irlanda, Portogallo, Slovenia, Spagna e – pare – pure Francia.

L’ammissione dei “piccoli”

Occorre tenere presente che l’Eurostat aveva, all’epoca, espresso qualche dubbio sulla capacità dell’Italia di fare fronte agli impegni dell’unione monetaria e fortissimi dubbi sulle possibilità che la Grecia fosse un “socio” affidabile del sodalizio. Sappiamo come andò: l’Italia venne ammessa essenzialmente perché si sperava che avesse appreso la lezione della svalutazione del 1992; per fare entrare la Grecia la Commissione Europea, presieduta da Romano Prodi, cacciò il direttore generale dell’Eurostat (e venne condannata dalla Corte di Giustizia Europea a risarcire il dirigente). L’argomento utilizzato dalla Commissione Prodi per smentire i tecnici fu che “la Grecia è piccola”, “l’area dell’euro è grande”, “i grandi possono sempre prendersi cura dei piccoli” e “i piccoli non ce la fanno a tirare i grandi nei guai”. Oggi vediamo che la Grecia ha messo a repentaglio l’eurozona e la piccola Cipro sta creando uno sconquasso finanziario e geopolitico mondiale.

Il progetto di riforma dell’eurozona basato sul Guldenmark

Già nel giugno 2012, subito dopo i primi “salvataggi” della Grecia, alti dirigenti del Fondo monetario internazionale parlavano di un ‘euro a due velocità come “via d’uscita” di un problema europeo che minacciava di contagiare il resto del mondo. Da diversi mesi una squadra di economisti (per lo più tedeschi, finlandesi, austriaci, estoni e slovacchi, ma non manca qualche presenza italiana) stanno lavorando ad una riforma dell’eurozona che la renderebbe simile a quell’unione monetaria latina (che ha, bene o male, funzionato dal 1865 al 1927) in cui le monete avevano parità fisse e convertibilità con l’oro e l’argento. L’euro resterebbe tale e quale ma verrebbe affiancato da un guldenmark che leghi i Paesi più competitivi dell’area. L’euro sarebbe agganciato al secondo da un crawling peg, ossia un cambio con piccolissime variazioni attorno alla parità centrale. Un progetto ‘accademico‘? Certamente sino alla elezioni tedesche del prossimo settembre. Ciò pone un vincolo temporale serio al Governo italiano (quando ce ne sarà uno solido e duraturo); può esercitare la ‘put option’ di uscire dall’euro sino ad allora. Successivamente, se nasce il guldenmark non avrebbe più carte da giocare (dato che nella nuova moneta, l’Italia non entrerebbe in nessun caso a ragione della scarsa competitività multifattoriale).

Volete l'euro a due velocità? Ecco il Guldenmark

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