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Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo un estratto dell’editoriale del Prof. Mario Morcellini, direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale alla Sapienza Università di Roma, apparso sulla rivista Federalismi.

Il terremoto  politico è arrivato, l’incertezza politico-elettorale non solo ha portato alla tanto declamata ingovernabilità, ma sembra invocare ineducatamente un radicale rinnovamento della classe politica, in funzione dell’altrettanto radicale stravolgimento della geografia dei soggetti sociali in grado di aspirare al centro della scena. Anzitutto i giovani, che in questa occasione
hanno espresso una decisa propensione non tanto antipolitica quanto antielitaria.

Organizzando l’architettura dei dati intorno alle dimensioni più innovative rispetto al quadro già noto del passato occorre cominciare dai militanti del Movimento 5 Stelle, smettendo di adottare termini quali “partito di Grillo” o “grillini”. Difficile non annotare, infatti, che queste definizioni così care al giornalese, portavano con sé un residuo di squalifica e di sottile delegittimazione, segnando un ulteriore vantaggio per quel movimento. Più il sistema li irrideva e più benefici elettorali hanno  ottenuto; più i media tradizionali si lanciavano in una operazione di riduzionismo del fenomeno e più la Rete diventava il mainstream del suo non imprevedibile successo (non è un caso, per giustificare questo ultimo esercizio di troppo facile profezia ex post, ricordare qui che proprio dalla proposta da parte del Direttore Caravita di un numero monografico interamente dedicato al Movimento 5 Stelle, ha preso le mosse l’editoriale di analisi e “profezie” sul passaggio elettorale).

Ben più rilevante è però la constatazione che tutto il risultato elettorale del 25 febbraio, ed in particolare quello del Movimento 5 Stelle, indica un fenomeno vistoso di secolarizzazione del
voto e di tendenziale presa di distanza dalle grandi narrazione del passato. Comincia ad essere evidente che le grandi costruzioni di senso del passato abbiano perso la capacità di orientare/decidere il comportamento di voto delle persone. Detto più recisamente: le fedi di riferimento degli italiani, e più in particolare le appartenenze identitarie che pure hanno fortemente segnato la storia elettorale anche recente – pensiamo alla cultura cattolica, al suo corrispettivo di una certa cultura laica, senza dimenticare le tradizioni di sinistra – non riescono più a tradursi in modo equivalente nei bacini elettorali in passato nettamente definibili come di massa. La riflessione in corso nel mondo cattolico, tradottasi in una rimodulazione più o meno chiara dell’appoggio politico al centrodestra, spiega solo in parte il ridimensionamento del PDL, mentre il flusso elettorale dal PD verso il Movimento 5 Stelle racconta ancor più recisamente un fenomeno nuovo: un elettorato non più disposto a votare a scatola chiusa in nome di una fedeltà che lo ha, in passato, portato a essere sin troppo paziente nei confronti della sua classe dirigente.

Altrettanto impressionante è l’ambivalenza comunicativa di cui il Movimento di Grillo si è avvalso: da un lato un’aggregazione tutt’altro che compatta nelle sue ispirazioni di fondo, sapientemente unificata dal vigoroso contrasto con le parole che hanno dominato la scena politica dell’ultimo ventennio, e soprattutto capace di un’analisi provocante della sociologia dell’esclusione giovanile. Per questi motivi, il Movimento si è rivelato capace di restituire ai giovani e ai laureati italiani ultravulnerati dalla crisi anzitutto una rappresentanza sociale, e poi un’interfaccia politicoparlamentare. Da questa angolazione, le tre principali aree politiche del paese pagano giustamente e finalmente l’assenza provocante di una politica per i giovani e per l’alta formazione. Scontano l’incuria nei confronti di Scuola, Università e politiche giovanili. Molti di noi erano da tempo in allarme per la diffusione dell’apatia politica e per la bizzarra fortuna di formule ipercritiche sui giovani: si va dai bamboccioni agli sfigati, dagli apatici agli inattivi, fino alla più sofisticata giovani né, meglio nota negli studi di marketing come generazione neet (Not in Education, Employment or Training).

E’ cambiato tutto, nel senso preciso che le variabili di impatto del passato perdono peso ed è dunque prevedibile che la storia italiana del presente-futuro prenda nuove direzioni. Siamo di fronte a un reingresso dei giovani e dei loro interessi sociali nella scena dell’influenza e della pressione sulle decisioni. A ciò si aggiunge la constatazione che la modalità comunicativa con cui si è presentato il Movimento 5 Stelle ha finito per funzionare. Occorre ammettere, autocriticamente, che avevamo immaginato che l’uso della Rete potesse sembrare un po’ rudimentale e quasi “generalistico” a soggetti smaliziati alle tecnologie e assetati dell’ultima novità. E’ stato un pregiudizio intellettualistico, perché rispetto alla arcaicità del teatrino televisivo è bastata la discontinuità di proclamare la castità comunicativa frequentando la Rete.

Ecco perché i giovani votano Grillo

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