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La data è stata fissata, direbbero i mitici autori di X Files. Solo che la grande protagonista non sarà l’invasione aliena di Mulder&co, ma l’altrettanto aliena exit strategy della Fed.

La fine della politica monetaria accomodante, per non dire nutriente.

Guardiamo le date. A gennaio scade il secondo mandato di Bernanke, detto anche Ben l’elicottero per la sua notevole predisposizione ai finanziamenti a pioggia. Forse ne farà un terzo, forse no. Nel dubbio il gran capo della Fed ha confermato che continuerà a comprare bond Usa e titoli collegati ai mutui immobiliari per 85 miliardi al mese, perché, ha detto ieri, la disoccupazione è ancora troppo alta. Addirittura fra il 7,3 e il 7,5% nel 2013.

E che dovremmo fare noi europei?

L’indizio arriva poco dopo. Nel 2014 la disoccupazione è prevista attestarsi al 6,7-7%, appena un filo sotto l’obbiettivo del 6,5% che farà scattare l’exit strategy. La fine del denaro a costo negativo.

Per il mondo sarà una rivoluzione. Chi segue queste storie si ricorderà cosa accadde il 30 giugno 2004, quando la Fed concluse la lunga corsa al ribasso dei tassi iniziata nel maggio del 2000, quando i Fed funds erano al 6,5% (sembra fantafinanza oggi) e furono portati all’1% nel giugno 2003 per dare ossigeno ai mercati dopo lo scoppio della bolla internet.

Le principali banche centrali si adeguarono subito. La Bce, per citare quella più vicina a noi, passò dal tasso del 4,75% dell’ottobre 2000 al minimo storico (per allora) del 2% del giugno 2003. Senonché non appena la Fed suonò la fine della ricreazione (indebitarsi a tasso negativo) e tornò a muovere i tassi, la Bce si adeguò subito: a dicembre 2005 i tassi erano già al 2,25%. Poi certo, la risalità dei tassi mise in crisi il mercato immobiliare americano, ormai assediato da obbligazioni spazzatura, fino ad arrivare ad oggi. Questo giusto per dare un’idea di cosa succede quando le banche centrali cambiano strategia monetarie.

Altri tempi, altri tassi. Rispetto alla crisi del 2008, la bolla di Internet è un semplice incidente di percorso. E basta vedere gli strumenti messi in campo dalle banche centrali per accorgersene. La Fed ha portato i tassi a zero, come il Giappone, e ha quadruplicato il suo bilancio a furia di comprare titoli di stato e obbligazioni immobiliari. La Bce ha portato i tassi a un livello mai visto e ha varato programmi straordinari per finanziare praticamente gratis le banche.

Detto ciò, la data è stata fissata. O quantomeno indicata. L’exit strategy, qualunque cosa comporterà, avrà un significato molto chiaro per il mercato. Ossia che inizia la resa dei conti fra i grandi creditori e i grandi debitori del mondo.

Queste due armate sono naturalmente destinate a fronteggiarsi. Specie quando aumenta il costo del credito/debito. Un’idea vaga di cosa potrebbe succedere ce l’ha data la Russia, che ha minacciato l’Eurozona di diminuire le proprie riserve in euro qualora si procedesse all’esproprio proletario sui conti correnti ciprioti. Addirittura Medved ha accusato l’Ue di essere un Soviet.

Molto divertente.

Già, perché la fisionomia delle armate non è delle più rassicuranti. Da una parte ci sono i grandi paesi sviluppati, cresciuti a pane e debito. Gli Usa, quindi, gravati da un crescente sbilancio sull’estero che l’Ocse prevede in aumento dai 511 miliardi di dollari del 2010 ai 653 del 2014. Il Giappone, il cui saldo sull’estero è crollato dai 65,5 miliardi del 2010 ai previsti -106 miliardi del 2014. E l’Eurozona che vede crescere il suo saldo estero dai 161 miliardi del 2010 ai 405 del 2014.

Questa apparente controtendenza ha una spiegazione molto semplice. All’interno dell’Eurozona c’è un player che ormai da un decennio è iscritto all’altro club: quello dei grandi creditori. Ossia la Germania.

Le esportazioni tedesche nette nel 2011 hanno sfiorato i 130 miliardi di euro, quando il saldo del corrente dell’intera eurozona dell’anno, sempre secondo i dati Ocse, è stato di 138 miliardi. In pratica la Germania pesa il 94,2% del saldo commerciale netto della zona euro. Ciò spiega perché la voce tedesca assomigli sempre di più alla voce del padrone, in un mondo dove chi ha soldi da prestare detta legge.

In compagnia della Germania ci sono i paesi emergenti, Cina in testa, e i paesi esportatori di petrolio e simili (tipo la Russia). Tutti coloro, insomma, che hanno estratto ricchezza dal denaro piovuto grazie al credito facile e che adesso faranno tutto ciò che è necessario per evitare che i loro crediti perdano valore.

In tutto ciò ci sono oltre 10 trilioni di debito pubblico da finanziare ogni anno con emissioni che, a tassi crescenti, non potranno che essere sempre più onerose per i singoli stati. E il bisogno, si sa, è il miglior cavallo di troia per conquistare spazio economico.

Che tutto questo accada dal 2015, centenario della Grande Guerra che ha segnato la fine di un mondo e l’inizio di uno nuovo, è una divertente coincidenza.

2015: resa dei conti fra debitori e creditori

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