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Pubblichiamo un articolo uscito sul sito dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi)

È morto un mito. Non solo nei ranchitos venezuelani, i quartieri più miserabili. Hugo Chávez ha fatto proselitismo in tutta la regione, il suo carisma ha toccato il cuore di centinaia di milioni di latinoamericani. Dal Nicaragua a Cuba, dall’Argentina al Brasile, dall’Ecuador al Paraguay, dalla Bolivia all’Ecuador, dal Perú all’Uruguay, dalla Giamaica alla Repubblica Domenicana, i presidenti di tutti questi Paesi hanno stretto rapporti con lui. Certo, in qualche caso, perché interessati al suo petrolio, in altri per rafforzare l’immagine di paese capace di svoltare, di dare ascolto e dignità ai poveri.

Pazienza se i paesi latinoamericani, tra loro, presentano storie politiche ben diverse, problematiche sociali poco assimilabili, etnie diverse. L’icona della sinistra latinoamericana è stata quella di Chávez, il suo “socialismo bolivariano” ha infiammato gli animi e, in molti casi, affascinato gli intellettuali latinoamericani.

Tutti orfani del caudillo, quindi, soprattutto del suo petrolio. I 100mila barili di petrolio che ogni giorno Raul e Fidel Castro ricevono a Cuba, da Caracas, ha tamponato la crisi energetica dell’isola caraibica. E ora che succederà? I blogger cubani non escludono il pericolo di ricadere in un altro “periodo especial”, quella durissima recessione che si è abbattuta tra il 1991 e il 1997 sull’isola, dopo che Mosca, con la disintegrazione dell’Unione sovietica, aveva interrotto gli aiuti economici. Da L’Avana, come contropartita al greggio, sono partiti, destinazione Caracas, 20mila medici cubani. Che Chávez ha mandato nelle favelas con l’obiettivo, va riconosciuto, centrato di contenere o eliminare i disagi sanitari patiti dalle popolazioni più povere.

Se Cuba è l’orfano “conclamato”, altri paesi del Sudamerica ne soffriranno, inevitabilmente, la mancanza. Con il terzo mandato di Daniel Ortega, il Venezuela decide importanti investimenti in Nicaragua per un ammontare di 500milioni di dollari all’anno, il 7% del Pil del paese, per sviluppare programmi sociali che hanno allargato la sua base elettorale.

In Argentina invece, i coniugi Kirchner, prima Néstor e poi Cristina, marito e moglie, presidenti in sequenza, hanno beneficiato dell’amicizia di Chávez, sia per gli accordi energetici, sia per l’acquisto di titoli argentini negli anni successivi al default del 2001.

Neppure la più possente economia latinoamericana, quella del Brasile, ha voluto esimersi dallo stringere accordi con Chávez. Tanto che Luiz Inácio Lula da Silva, due volte presidente, ha più volte elogiato la conduzione governativa del presidente venezuelano.

La Bolivia di Evo Morales, l’Ecuador di Rafael Correa, hanno siglato decine di intese con Caracas, nell’alveo dell’Alba (Alternativa bolivariana), un’area di libero commercio che non ha risolto i problemi atavici, di povertà ed esclusione, dell’America Latina. Ma Morales e Correa hanno saputo “rivendere” ai propri elettori, un quadro d’integrazione crescente.

In Venezuela, al di là dei progetti sociali, il fallimento delle politiche economiche di Chávez, è sotto gli occhi di tutti. Il paese resta solo “petrolifero” e la rete di piccole e medie imprese che avrebbero potuto costituire l’intelaiatura di un nuovo sistema economico, non si è realizzata. Ancor meno nei paesi latinoamericani filo-chavisti.  Ma la scritta su un muro di Caracas, descrive bene lo spirito di una parte della sinistra del Sudamerica: “No queremos realidades, sino utopias”. Non vogliamo realtà, ma utopie.

Roberto Da Rin è corrispondente de Il Sole 24 Ore.

America Latina dopo Hugo Chávez

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