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Non è fantapolitica immaginare, nelle sottili trame del salvataggio cipriota e dall’accordo saltato con Mosca, il rischio di frizioni di carattere geopolitico che potrebbero innescarsi (o forse che sono già in pericoloso stato avanzato) a Cipro, stretta nella cosiddetta “morsa del gas” dal triumvirato Berlino, Mosca, Ankara. Con gli Usa spettatori non troppo distanti, nonostante il silenzio di questi giorni.

Nel mar Egeo c’è molto gas, stimato da alcuni analisti in almeno 50 miliardi di euro come volume complessivo di affari. Numeri troppo ghiotti per restare solo sulla carta. Complice il quasi default greco dello scorso anno, Atene si è impegnata con Germania e Turchia per estrarre il prezioso gas e utilizzarlo per coprire i debiti. Ma c’è un problema, riguardo alla metratura e ai modi. Non sono mancate rivendicazioni, pretese e veti. Il caso Cipro acuisce una criticità già innescata almeno da un biennio.

La posizione di Ankara

Ankara “apre le danze” con una dichiarazione che, se non è di guerra, vi si avvicina pericolosamente. Il ministro degli Esteri in una lunga nota ufficiale descrive come “fantasia” l’idea che le risorse naturali di Cipro possano essere utilizzate come garanzia nel Fondo di solidarietà. Che nessuno proceda “senza tener conto dei diritti dei turcociprioti coproprietari dell’isola – aggiunge – sarebbe una pericolosa manifestazione di fantasia e potrebbe portare a una nuova crisi nella regione”. E ancora: “La parte turcocipriota ha inviato due appelli ai greco-ciprioti nella parte grecocipriota per una distribuzione equa delle risorse naturali, il 24 settembre 2011 e 29 settembre 2012, ma la parte grecocipriota finora non ha comunque risposto positivamente. La crisi economica non può essere vista come un’opportunità per creare un fatto compiuto”.

Le pretese turche

Nonostante il dibattito aperto su cosa significhi “coproprietari”, (dal momento che hanno invaso l’isola) il ministro ribadisce che la parte turca è fortemente impegnata a difendere i diritti e gli interessi della sua piattaforma continentale, inclusa la conservazione del supporto proprio sul lato turcocipriota. Il 47% del territorio dell’isola infatti è presidiato sin dall’invasione del luglio 1974 da 50mila militari turchi che si spinsero a Cipro in risposta a un tentativo di golpe greco, ma poi vi rimasero stabilmente. E oggi pretendono di non essere tagliati fuori dallo sfruttamento dei giacimenti sottomarini, tema sul quale lo scorso novembre Nicosia ha però raggiunto un accordo di massima con Tel Aviv per un’azione congiunta di esplorazione. Ma poi è arrivato il quasi crac delle banche, l’accordo saltato con Mosca che prevedeva anche un sostanziale impegno pluriennale sul gas, gli inserimenti delle diplomazie statunitensi e tedesche, il nodo del gasdotto South Stream su cui Gazprom ha ancora da dire qualcosa.

Il nodo della questione

E mentre il Die Welt, commentando l’accordo notturno dell’Eurogruppo, parla di “metodo rivoluzionario per le istituzioni finanziarie”, in pochi si accorgono che fra le briciole (rispetto al pil cipriota) del maxi prestito accordato dalla troika, si potrebbe nascondere il vero obiettivo di questa partita. Che è solo all’inizio.

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