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C’è da credere che a Washington, dove i 75 anni dell’Alleanza Atlantica vengono celebrati con dichiarazioni corali di sostegno al popolo ucraino, e a Bruxelles, dove si negozia sulle deleghe dei prossimi commissari europei espressi dagli Stati membri, in molti si stiano ponendo la fatidica domanda: fino a dove si spingerà il vicepresidente del Consiglio italiano Matteo Salvini? Domanda che, evidentemente, illumina d’una luce sinistra il Belpaese, confermandone agli occhi dei più l’antico pregiudizio di sostanziale inaffidabilità e cronica furbizia.

I segnali, infatti, non sono rassicuranti. Non passa giorno senza che il segretario della Lega non alimenti dubbi sulla tenuta della linea italiana di sostegno all’Ucraina e di rispetto degli impegni presi in sede Nato sulle spese militari. Non passa giorno senza che Matteo Salvini non trovi il modo di rinverdire il proprio, storico, antieuropeismo. Emblematica la scelta di designare alla vicepresidenza del neocostituito gruppo europeo sovranista dei Patrioti il generale Roberto Vannacci. Emblematica per due ragioni. La prima, scontata: Vannacci ha messo nero su bianco nei suoi libri la critica radicale alla strategia atlantista in Ucraina e la propria sostanziale simpatia per il regime putiniano. La seconda ragione è più sottile. Se persino Jean Philippe Tanguy, uomo forte del partito di Marine Le Pen in Europa, ha giudicato inopportuna la designazione di Vannacci, a sua volta criticato dal candidato premier del Rassemblement National Jordan Bardella, è mai possibile che nessun dirigente della Lega abbia osato proferire verbo? Il fatto che i presidenti di regione e i responsabili politici veneti e lombardi del partito di Salvini abbiano accettato che i propri eletti a Bruxelles venissero scavalcati d’imperio dall’ultimo arrivato appare degno di nota. È il segno che, nella Lega, nessuno ha la forza politica o il coraggio personale di opporsi ai capricci del leader. Capricci che, e anche questo dovrebbe essere motivo di riflessione, allontanano la Lega dai ceti produttivi, naturalmente europeisti e realisticamente atlantisti, del Nord Italia.

Se ne ricava che la leadership di Matteo Salvini non ha contrappesi all’interno della Lega. Non c’è, dunque, nessuno in grado di temperarne e, all’occorrenza, frenarne le intemperanze. Matteo Salvini e noto per considerare i voti come un fine e non come un mezzo: se dovesse convincersi che non solo l’antieuropeismo, ma anche l’anti atlantismo, travestito da pacifismo, possono garantirgli un surplus di consensi nelle urne, chi mai potrà impedirgli di imboccare una strada distruttiva per il governo, oltre che per la credibilità dell’Italia e per l’interesse della Nazione?

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Matteo Salvini è noto per considerare i voti come un fine e non come un mezzo: se dovesse convincersi che non solo l’antieuropeismo, ma anche l’anti atlantismo, travestito da pacifismo, possono garantirgli un surplus di consensi nelle urne, chi mai potrà impedirgli di imboccare una strada distruttiva per il governo, oltre che per la credibilità dell’Italia e per l’interesse della nazione?

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