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Articolo tratto dal numero 54 (Dicembre 2010) della rivista Formiche

Confermare i fratelli nella fede, contribuire all’unità dei cristiani, fare pulizia nella Chiesa, allargare lo spazio della ragione alla dimensione trascendente, dimostrare che una libertà svincolata dalla verità fa il male e non il bene dell’uomo, chiedere a tutti di vivere non in base all’illuministico precetto et si Deus non daretur (come se Dio non esistesse), ma veluti si Deus daretur (come se Dio ci fosse) per ridare una base morale comune alla società. Si possono riassumere così i grandi contenuti al centro del magistero di Benedetto XVI in questi cinque anni e mezzo di pontificato. Diciotto i viaggi internazionali: Germania (due volte), Polonia, Spagna (due volte), Turchia, Brasile, Austria, Stati Uniti, Australia, Francia, Camerun e Angola, Terra Santa, Repubblica Ceca, Malta, Portogallo, Cipro, Regno Unito. Geografia centrata sull’Europa e il Medio Oriente, ma senza che il papa abbia per questo trascurato Asia e Sudamerica, come dimostrano numerosi dei suoi testi e l’attenzione dedicata ai vescovi di quei continenti ricevuti in Vaticano.

Alle encicliche Benedetto XVI ha fatto ricorso con cadenza biennale. La Deus caritas est è del 2005, la Spe salvi del 2007, la Caritas in veritate del 2009. Hanno puntato al cuore del messaggio evangelico: l’amore, la speranza, la verità. Quando fu eletto, Benedetto XVI si presentò come “un umile lavoratore nella vigna del Signore”. L’operaio Ratzinger sta rafforzando la casa cattolica partendo, opportunamente, dalle fondamenta.

Rientra in questo quadro l’impegno per l’unità dei cristiani. Poiché dieci anni fa, quando era a capo della congregazione per la Dottrina della fede, elaborò la dichiarazione Dominus Iesus sulla Chiesa cattolica come unica vera Chiesa di Cristo (documento accolto con aspre critiche dalle altre Chiese e comunità cristiane), Ratzinger è da molti considerato un ecumenista tiepido. In realtà ha più volte ribadito (fin dalla prima messa celebrata all’indomani dell’elezione) che l’impegno ecumenico è irrinunciabile e fa parte a pieno titolo della missione del successore di Pietro. Il suo ecumenismo non è fatto però di proclami. Per lui vale di più la conoscenza reciproca, fondata sui rapporti personali e sulla consapevolezza di sé. Impossibile dialogare con l’altro se non c’è lo sforzo di conoscere se stessi. Aver predisposto un apposito quadro normativo e organizzativo per accogliere nella Chiesa cattolica numerosi anglicani desiderosi di tornare alla piena comunione con Roma, dimostra come Ratzinger sia capace di provvedimenti concreti quando ce ne siano i presupposti. Più difficile resta il confronto con le Chiese ortodosse. Tuttavia la visita a Istanbul e l’abbraccio al patriarca Bartolomeo I hanno segnato una tappa importante, e segnali positivi stanno arrivando dal patriarcato di Mosca.

Una pietra d’inciampo è stata la revoca della scomunica ai quattro vescovi tradizionalisti consacrati da monsignor Marcel Lefebvre, fra i quali il negazionista Williamson. Sull’intera questione, con un atto senza precedenti, il papa ha scritto una lettera di spiegazioni. Ammesso l’errore di aver tolto la scomunica a Williamson proprio all’indomani delle sconcertanti dichiarazioni del monsignore inglese circa la non esistenza delle camere a gas nei lager nazisti, e precisato che aver revocato le scomuniche non equivale a una legittimazione della Fraternità sacerdotale San Pio X fondata dallo scismatico Lefebvre, il papa ha espresso il suo dolore nel constatare come nella Chiesa, per usare le parole di Paolo, ci sia chi non perde occasione di mordersi e divorarsi a vicenda.

Siamo così ad un altro grande tema. La necessità di fare pulizia nella Chiesa venne prospettata da Ratzinger già prima di diventare papa, quando, nelle meditazioni della Via crucis del 2005, parlò esplicitamente di “sporcizia”. È un compito che ha perseguito secondo il suo stile: nessun provvedimento clamoroso, ma un’azione costante, come dimostra l’inchiesta nei confronti dei Legionari di Cristo e la condanna del loro fondatore. Nel pieno di questa azione, certamente non a caso, Benedetto XVI è stato investito dalla tempesta pedofilia, e gran parte della stampa internazionale ne ha preso spunto per mettere in difficoltà proprio il pontefice. Operazione oggettivamente ingiusta, perché se è vero che alcuni pastori hanno coperto, insabbiato e commesso peccati di omissione, è altrettanto vero che Joseph Ratzinger, da papa come da cardinale, è sempre stato in prima fila nel cercare di fare chiarezza e punire i sacerdoti colpevoli, da lui giudicati indegni del servizio a cui erano stati chiamati. Definendo “persecuzione interna” quella derivante dalle terribili infedeltà di alcuni preti, e giudicandola molto più grave e devastante di quella che viene dall’esterno, Benedetto XVI ha dimostrato di non cercare scuse. Sarebbe stato facile addossare le colpe ai nemici della Chiesa, invece ha chiesto purificazione, conversione e collaborazione con le autorità civili.

Se lo scandalo pedofilia ha scatenato contro il papa i settori più oltranzisti della cultura laicista ed atea, la decisione di consentire la celebrazione della messa secondo il rito antico ha invece provocato polemiche e attacchi soprattutto dentro la Chiesa. Capo d’accusa numero uno, la presunta volontà di Benedetto XVI di negare il Concilio Vaticano II, dal quale scaturì la riforma liturgica. La questione è controversa e delicata. Da un lato si può notare che la legittimazione del rito antico non era forse da considerare una priorità per la vita della Chiesa. Dall’altro c’è da osservare che anche con questo provvedimento il papa, in quanto pastore universale, ha voluto contribuire a tenere il gregge il più possibile unito. Noto è il suo amore per le espressioni più genuine della tradizione, e numerose le sue affermazioni (si veda la visita a Barcellona) circa l’importanza della bellezza come via per arrivare a Dio. D’altra parte, nella Chiesa cattolica la molteplicità dei riti è sempre esistita (si pensi alle Chiese cattoliche orientali, o al rito ambrosiano) e il papa non ha
fatto che proseguire su questa linea.

Un altro momento difficile si è avuto nel 2006 a Regensburg quando, parlando all’università nella quale insegnò, Ratzinger citò un passo, tratto dai colloqui tra l’imperatore bizantino Emanuele II Paleologo e un rappresentante islamico, in cui il sovrano cristiano accusava Maometto di aver diffuso la sua fede con la spada. La citazione era funzionale al tema centrale della lectio magistralis, il rapporto tra fede e ragione e il conseguente rifiuto della violenza da parte della religione autentica, ma la stampa isolò solo quelle parole e, sottraendole al contesto, le trasformò in un attacco del papa al mondo islamico, con la conseguenza di aizzare i più estremisti contro il pontefice e la Chiesa cattolica. Si è parlato di errore di comunicazione del papa. In realtà è stata, ancora una volta, una manovra scorretta dei mass media. Da quell’episodio, in ogni caso, è scaturito anche un risultato positivo: una richiesta di confronto sincero e diretto arrivata per la prima volta da rappresentanti della cultura islamica (trentotto in un primo tempo, saliti poi a centotrentotto) e concretizzatasi già in alcuni incontri.

Sul fronte delle polemiche si possono segnalare anche quelle innescate dalla decisione di sbloccare la causa di beatificazione di Pio XII, accusato da ampi settori del mondo ebraico di silenzi sulla persecuzione antiebraica. Il Vaticano ha spiegato che non è stato un provvedimento ostile nei confronti degli ebrei e che riconoscere le virtù eroiche di un candidato alla santità non significa limitare la discussione
sul piano storico.

Al pontificio Consiglio per la cultura, retto dal neocardinale Gianfranco Ravasi, il papa ha affidato un lavoro di largo respiro per coinvolgere persone agnostiche e atee in un confronto con la Chiesa da svolgere in un rinnovato “cortile dei gentili”, com’era chiamato anticamente lo spazio del tempio nel quale i non israeliti potevano avvicinarsi al “dio sconosciuto”.

Assieme all’istituzione del dicastero vaticano per la nuova evangelizzazione del mondo occidentale scristianizzato, affidato a monsignor Rino Fisichella, fa capire qual è lo sguardo di Benedetto XVI sul futuro.

Aldo Maria Valli è giornalista e scrittore. Vaticanista del Tg1 e autore di La verità del papa. Perché lo attaccano, perché va ascoltato, Lindau, 2010.

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