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All’inizio fu l’Agenda Digitale, esattamente l’ultimo giorno del gennaio 2011 quando la locuzione si presentò prepotente alla politica con una pagina-manifesto sul Corriere della Sera che lanciava un progetto “per raccogliere idee di innovazione e proporle a tutte le forze politiche, nessuna esclusa”. Due anni dopo è Agenda tout court e l’onda lenta provocata da quelle 100 firme di manager, giornalisti, professori, imprenditori e consulenti di fatto ha trovato un approdo nella Scelta Civica del premier uscente Mario Monti, che ha twittato con compiaciuto orgoglio: «L’innovazione tecnologica è lo strumento per rilanciare lo sviluppo: con noi @quinta @francescosacco @salvomizzi Dianora Bardi».

Un segnale interessante in una campagna elettorale dove la crescita sembra essere stata dimenticata dai contendenti e tanto più l’Agenda Digitale, così come la pubblica amministrazione taglia-sprechi o le stesse start up nonostante queste avrebbero potuto rappresentare un interessante tema per l’elettorato giovane soprattutto in un momento così difficile per il mercato del lavoro. Un segnale interessante quello che arriva dal Pianeta Monti ma ancora di difficile lettura: nei prossimi mesi potrà essere interpretato nella sua giusta dimensione, che dipenderà anche dagli esiti elettorali della nuova formazione e dagli assetti del futuro governo.

Il “manifesto” del 2011 rappresentò in qualche modo il punto di coagulo e di avvio di un movimento di opinione (ma anche di un gruppo di pressione) che nei mesi successivi avrebbe accompagnato il dibattito sull’e-commerce, le startup, la digitalizzazione della pubblica amministrazione, trovando poi uno sbocco politico nel governo tecnico e legislativo nel Decreto Crescita 2.0. Tra chi allora si diede da fare in nome dell’Agenda Digitale ci sono molti dei candidati “montiani” di adesso. Perché probabilmente era naturale per loro pensare di (dover?) passare appena possibile dalle parole ai fatti, cercando un verosimile spazio politico di cambiamento. Alcuni ci hanno provato prima accompagnando la battaglia di Matteo Renzi per la leadership del Pd. Poi, precipitata la situazione politica, si sono subito rivolti verso il premier-rettore.

In tutte le parti in contesa ci sono uomini (e donne) che da tempo seguono le questioni delle telecomunicazioni come quelle dell’Ict ma lo fanno come “specializzazione” del loro mandato parlamentare. Difficile, se non impossibile, trovare degli absolute beginners della politica provenienti dalla società della conoscenza come quelli della “pattuglia digitale” arruolata da Monti, la stessa che probabilmente spiega anche il sorprendente entusiasmo social (su Twitter come su YouTube) di un tecnico, decisamente stiff e inevitabilmente choosy, diventato politico a quasi 70 anni (li compirà poche settimane dopo le elezioni).

Il grande affluente dell’innovazione tecnologica tenta quindi di innestarsi in un tentativo di innovazione politica, con figure ben note a chi frequenta i territori della digital economy e i circuiti dei convegni ma totalmente estranee ai tradizionali serbatori dei partiti. Come Stefano Quintarelli, “quinta” per amici e addetti ai lavori, uno dei pochi Internet evangelist italiani, da sempre sulla breccia con esperienze di imprenditore (I.net, il primo service provider italiano) e manager (Sole24Ore). Un pioniere, come lo è stato Salvo Mizzi, che all’alba del 2000 lanciava la prima webtv italiana, quella del papero Gino che cantava “Tu vuo’ fa il talebano” alla maniera di Renato Carosone (My tv), e che dopo ha portato la cultura delle start up dentro il gruppo Telecom con il progetto Working Capital.

Poi ci sono i professori: Francesco Sacco (Bocconi e Università dell’Insubria, gran conoscitore della questone fibra), che è l’ideologo digitale del “partito che ancora non c’è” e il coordinatore delle attività sul web tanto è vero che siede nei comitati direttivi di Scelta Civica e Italia per Monti; Dianora Bardi, che dopo aver lavorato accanto a Giovanni Degli Antoni, guru dell’informatica italiana, si è specializzata sulla didattica digitale; Ilaria Capua, la virologa che ha scoperto l’aviaria e soprattutto sostiene la scienza open source;. Irene Tinagli, economista con una particolare devozione per innovazione e talento; Carlo Maria Medaglia, fisico con la vocazione dello startupper e una specializzazione sui temi del traferimento tecnologico.
E’ presto per parlare di un nascente partito dell’innovazione: i candidati sono tutti under 50, pieni di idee e di entusiasmo. Ma quanti varcheranno la soglia del Palazzo e quanto reggeranno l’impatto con le sue ragnatele?

Articolo pubblicato sul Corriere delle Comunicazioni (n. 2 del 04/02/2013)

Ecco la pattuglia digitale arruolata da Monti

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