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Tutti li stati, tutti i dominii che hanno avuto et hanno imperio sopra li uomini, sono stati e sono o repubbliche o principati. E’ principati sono o ereditari, de’ quali el sangue del loro signore ne sia suto lungo tempo principe, o e’ sono nuovi. – Il principe – N. Machiavelli

Il fiorentino inizia così, dopo la captatio benevolentiae,il suo trattatello di filosofia politica. Trattatello di cui,  quest’anno, ricorre il quinto centenario. L’Italia è paese di poca memoria, e di altrettanto centenarie divisioni. A livello locale, localissimo (Guelfi e Ghibellini), a livello regionale (Nord, Sud, Stato Pontificio). Termini e divisioni che, con molta difficoltà, si attribuiscono al solo passato. Divisioni che, oggi, riguardano l’intera Europa e la sua governabilità. Pensate, ad esempio, all’Inghilterra che intende abbandonare l’Unione Europea. Non so quanto sia interessante rileggere Machiavelli analizzandone la sintesi del pensiero. Ma è stupefacente scoprire, rileggendo Il Principe, come il panorama politico italiano sia così poco mutato se così tanti capitoli si adattano alla perfezione per descriverlo oggi come lo furono ieri. Scoprire come Il Principe riesca a fornire elementi di riflessione per interpretare, ad esempio, il passaggio di Monti da senatore a vita e premier del governo tecnico – con le armi d’altri –, al quale i partiti hanno demandato la soluzione dell’impasse economica e di governo,  a leader di un cartello di milizie elettorali di centro. Impasse, peraltro, in cui il paese è scivolato a causa della fortissima tensione prodotta dall’esterno, sotto le mentite spoglie di spread e mercati.

Se l’Italia, sulla scorta dell’illustre fiorentino, repubblica o principato che sia, piuttosto che repubblica di principi più o meno ereditari, intende conservare la propria libertà e il proprio governo deve poter difendere questa sua libertà con le armi e con la forza. Ma quali sono le armi e come si esprime la forza oggi, la forza di governo ? E’ la forza di essere comunità, di essere nazione secondo la più scontata e difficile delle definizioni: lingua, territorio e religione. Forza che si coagula nel principe come somma delle forze della comunità. Il secolarismo laicista, anziché rafforzare lo stato, l’ha indebolito. E le autorità ecclesiastiche hanno fatto il resto. Perché allo stato fondato anche su una religione evangelicamente includente, hanno preferito una religione di stato ingerente ed escludente. L’appoggio a Monti, un Monti moroteista, non è politica ma ragioneria. Una Chiesa che ha costruito il suo consenso capillare nel perdono, paracadute alla mancanza di responsabilità del proprio gregge. E poi c’è l’eterno problema della leadership. Moderna accezione della riflessione sulla figura del principe. Accentratore, demiurgo. Snodo dialettico in un parlamento che detiene, della repubblica, la redini della democrazia. Anche se i media sono cambiati, e sono forse diventati più pervicaci e subliminali nei modi e nelle forme con cui si insinuano nella società, le regole e i meccanismi con cui il potere si esercita e si afferma rimangono le medesime. Come la natura umana. Non appena la figura del moderno principe si sovraespone sull’agone politico, un riflesso condizionato fa insorgere antipatie, paure e preoccupazioni nei suoi confronti. Monti, come Renzi, facce nuove, al netto dei più o meno esoterici o essoterici gruppi di interesse di cui si facevano e fanno rappresentanti, faticano a incontrare un largo consenso. Ma senza un concentratore attorno al quale si coagulano le forze per farsi forza, il paese si liofilizza nella democrazia della debolezza anziché nella democrazia forte del giusto bilanciamento dei poteri.

Ma il potere da alla testa. E l’ultimo Monti buca lo schermo per arroganza piuttosto che per sobrietà. Almeno così appare alle masse rese sempre più povere dalla crisi. Un Monti, più arrogante che sobrio, è da considerarsi dunque, più che principe, la milizia di un principato più allargato, ad esempio Europeo? E’ l’antidoto al degenerare dell’instabilità populista ? E’ l’argine contro fortuna ? Ma se ci sono leadership che hanno imperio sopra li uomini, bisognerà interrogarsi sugli uomini che stanno sotto tale imperio. Gli Italiani. Mai capaci di essere comunità. Nelle arti (scuola siciliana, scuola fiorentina, scuola veneta), come nell’illegalità (mafia, camorra e ndrangheta) si sono divisi in scuole di pensiero diverse. Un paese diviso non è rappresentabile. E diventa preda, facile, degli imperii esterni. Più avvezzo ad esser principato che repubblica. E dato che oggi le legioni a Roma non si possono portare, ecco la tecnocrazia. Ecco il porcellum del porcellum. Una sorta di esperimento di governo imposto dall’alto, antidoto ai rivoli destabilizzanti prodotti dal populismo che la crisi fomenta. E che oggi si sperimenta in Italia, domani potrebbe servire come modello di governo per altri stati, quindi per l’Europa tutta. La dottrina di Machiavelli ci consente di cogliere le imminenti sfide della modernità Europea se ampliamo l’orizzonte fuori dai confini del nostro localismo. Oggi Il Principe è un principe Europeo e deve essere un politico e non un tecnocrate. Un politico con tanti direttori finanziari in ogni ex stato-nazione. Occorre una politica europea di medio lungo termine, occorrono milizie e forza per difendere l’autorevolezza del governo e i suoi confini. Dove milizie e forza non sono quelle militari, ma le contraeree politiche e culturali ai bombardamenti finanziari. L’Europa deve darsi delle sfide che non siano la moneta, le tasse, e tutte queste fantastiche sovrastrutture economico-finanziarie. Ma sfide umane. Come raggiungere Marte. Bill Gates, Steve Jobs sono figli dell’America che andò sulla Luna. Solo il convergere di un’ intera confederazione di stati o regioni verso un obiettivo produce il cambiamento e favorisce la governabilità. Come un forte campo magnetico nella materia mette ordine tra i domini di Weiss.

Il laboratorio Italia e il Principe Europeo

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