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In tanti, in queste ultime settimane, si sono interrogati su quale fosse il senso di un eventuale endorsement da parte delle gerarchie ecclesiali nei confronti di Mario Monti. Non penso che alcun endorsement ci sia stato, né tanto meno prevedo che ci sarà. Il semplice fatto che alcune figure rilevanti (ma non necessariamente tutte competenti in scienza politica o economica) del mondo ecclesiale abbiamo giudicato positivamente la presenza nell’attuale campagna elettorale di una persona seria e competente come Monti non significa di certo riconoscere all’attuale Presidente del Consiglio il diritto di incondizionata rappresentanza di una realtà plurale e irriducibile come il mondo cattolico e la presenza dei cattolici in politica.

D’altronde, l’esperienza degli ultimi vent’anni avrebbe dovuto insegnare a tutti quanto il mondo cattolico impegnato nella sfera politica sia vivace e ricco di esperienze diverse e talvolta legittimamente inconciliabili tra di loro. Si pensi soltanto alla distanza che separa i fautori di un welfare improntato sul ruolo attivo dello “Stato” da coloro che invece propongono un welfare incentrato sul ruolo energico della società civile, in ossequio al principio di sussidiarietà orizzontale. Tuttavia, durante gli stessi anni, abbiamo potuto constatare il discredito nel quale sono caduti un po’ tutti i partiti, per il comportamento poco edificante di alcuni loro dirigenti. L’immagine pubblica di Monti, al di là del suo posizionamento politico e del giudizio circa la sua azione di governo, si giova della fine indecorosa di buona parte del personale politico di una “seconda Repubblica” probabilmente mai nata, in quanto mera e incancrenita appendice della prima. Ne consegue che non è difficile vedere in Monti una figura decisamente più affidabile di alcune del passato, sia sul piano della morale privata sia su quello della credibilità pubblica della sua azione di governo, soprattutto a livello internazionale.

Ciò detto, non possiamo negare una certa affinità di prospettiva tra la cosiddetta “Agenda Monti” e un particolare filone del pensiero sociale cattolico che comunemente viene anche definito “cattolicesimo popolare e liberale”, intendendo per esso quella tradizione di pensiero che, in un certo senso, da Tocqueville e Lord Acton giunge fino a Sturzo e a De Gasperi, passando per Rosmini, Manzoni e una miriade di pensatori e protagonisti della vita civile e politica europea e del nostro Paese in particolare. Sul versante più propriamente economico, l’Agenda Monti non fa mistero di ispirarsi alla tradizione della cosiddetta “economia sociale di mercato”, i cui principi fondamentali e alcuni dei padri fondatori hanno offerto un contributo non indifferente allo sviluppo anche della moderna Dottrina sociale della Chiesa.

Ebbene, nessuno, tra chi fa politica, credo possa pretendere patenti di cattolicità. La possibile sintonia fra Monti e un certo cattolicesimo, che normalmente viene etichettato come cattolicesimo liberale, risiede nella sua visione economica. Come ho appena ricordato, il modello proposto dal Prof. Monti è quello dell’economia sociale di mercato. Un modello che tenta di coniugare i temi della libertà e del mercato con la responsabilità e con la giustizia sociale. In estrema sintesi, è l’idea che la libertà economica non possa essere scissa dalla giustizia sociale e che quest’ultima, a differenza dell’economia mista, non si perseguirebbe con l’interferenza dello “Stato giocatore”, bensì in forza degli stessi processi di mercato, i cui presupposti sono di natura etica e culturale e non meramente ingegneristico-matematica. È questa la lezione di Sturzo e dei padri tedeschi dell’economia sociale di mercato, i quali fecero proprio il concetto di liberalismo ordinamentale o delle regole: una costituzione economica che renda effettiva la libertà di accesso ai processi di mercato e prevenga la formazione di cartelli e monopoli.

Potremmo riassumere l’idea stessa di tale forma di liberalismo che si implementa nel modello dell’economia sociale di mercato nell’aforisma: “Uno stato forte per un mercato libero”. In questo senso, la prospettiva di Monti e dei seguaci dell’economia sociale di mercato (non sempre necessariamente coerente con la purezza del modello che, ad esempio, assegna grande importanza al principio di sussidiarietà) attribuisce un ruolo fondamentale allo stato, in quanto, mediante “interventi conformi al mercato”, rappresenta uno strumento necessario al mantenimento di un mercato autenticamente libero e competitivo che non sia preda della logica monopolistica e burocratica. Uno stato arbitro e non giocatore, per impedire che un qualsiasi giocatore possa divenire a sua volta arbitro e trasformarsi inevitabilmente in monopolista, con buona pace del libero mercato e del principio che lo regola: la concorrenza.

In questo senso, la prospettiva dell’economia sociale di mercato incrocia la ricca tradizione del cattolicesimo liberale e popolare sturziano proprio nelle questioni che hanno a che fare con i principi di solidarietà e di sussidiarietà e non può non rappresentare motivo d’interesse presso i cattolici i quali sono legittimamente interessati a vedere implementati anche nella vita pubblica i principi che stanno alla base della Dottrina sociale della Chiesa, consapevoli che nessuna teoria sociale potrà mai rappresentare la fotocopia del Regno celeste.

Con ciò, nessuno può permettersi di vantare alcun diritto incondizionato di rappresentare questa o quella realtà culturale, per lo meno per ragioni di comprensibile complessità dei cosiddetti “mondi vitali”, ma anche perché una simile pretesa dovrà in primis misurarsi con la concreta capacità di incarnare le buone idee con le persone giuste: capaci, oneste e preparate. Al di là di tutto, anche delle migliori intenzioni, le buone idee hanno sempre bisogno di gambe solide per andare lontano e per essere credibili o, quanto meno, per apparire tali.

Le buone idee e le gambe zoppe

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