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L’Italia è il paese in cui si investe meno in ricerca. La differenza maggiore tra l’Italia e gli altri paesi europei è la quota di investimenti privati.

Questo in parte nasce dalla struttura stessa del sistema produttivo Italiano che è formato principalmente da Piccole e Medie Imprese (PMI) che spesso non hanno le risorse sufficienti per sostenere un programma di Ricerca e Innovazione (R&I). Invece R&I è la ricetta per sopravvivere in questo mondo tecnologico sempre più globale, soprattutto in un paese come l’Italia che non ha risorse prime. R&I è la parola chiave per la sopravvivenza delle PMI e del paese. Altrimenti la soluzione inevitabile è quella di trasferire la produzione di prodotti a bassa tecnologia in paesi in cui il costo del lavoro è minore che in Italia.

Storicamente, la mancanza di investimenti in ricerca ha anche basi culturali: da un lato la mancata attenzione di alcuni settori del mondo imprenditoriale verso il mondo della ricerca accademica che viene vista come qualcosa di improduttivo e “snobbistico”. Dall’altro il “fastidio” di molti ricercatori (Università e Enti Pubblici di Ricerca – EPR) per la ricerca applicata.

In questi anni le cose stanno cambiando. Un po’ anche a causa della crisi che ha comportato una drastica riduzione di finanziamenti per Università ed EPR. Ma anche a causa del nuovo programma di finanziamento della ricerca da parte della Unione Europea, Horizon 2020, che dal 2014 spingerà inevitabilmente a trovare punti di contatto tra mondo imprenditoriale e ricerca pubblica.

E’ di questi giorni la notizia che Confindustria e Cnr, la più grande istituzione pubblica di ricerca in Italia, hanno sottoscritto un Patto per intensificare la collaborazione su progetti di ricerca industriale e di diffusione dell’innovazione, come risposta alle esigenze tecnologiche e economiche delle imprese, soprattutto PMI.

Tra i punti essenziali dell’intesa: 1) lo sviluppo di cluster tecnologici e di attività di ricerca di eccellenza anche per attrarre investimenti; 2) il potenziamento degli strumenti per rafforzare il trasferimento tecnologico; 3) la definizione di modelli efficienti di gestione della proprietà intellettuale.

Obiettivi sono ambiziosi e di difficile attuazione senza una serie di iniziative concrete strutturali di supporto. Ad esempio molto bisogna fare per semplificare la burocrazia che è oggi il principale problema sia per il mondo industriale che per la ricerca pubblica. Senza una semplificazione e una riduzione del peso della burocrazia, ormai insostenibile, si corre il rischio che gli obiettivi del patto rimangano buoni propositi e che in moti casi, come in passato, gli accordi siano espedienti per accedere ai finanziamenti che verranno messi in gioco nei prossimi anni dai ministeri, dalle regioni e soprattutto dalla Unione Europea (il programma Horizon 2020). Finanziamenti che comunque plasmeranno il modo di fare ricerca.

Uno degli obiettivi è di estendere a tutte le imprese, in particolare alle PMI, le esperienze positive di collaborazione già consolidate in questi anni e la definizione di collaborazioni strutturali. Il Patto prevede inoltre di promuovere una reale mobilità anche dei ricercatori del Cnr e delle imprese.

Quello che manca oggi, soprattutto in ambito biomedico, è una reale conoscenza reciproca. Più volte ho fatto presente al mio amico di Università Alessandro Sidoli, Presidente attuale di Assobitech, che il primo passo per una vera collaborazione è iniziare a parlarci. Ad esempio inserendo corsi o seminari gestiti dal mondo imprenditoriale nei programmi di formazione dei giovani biologi con l’obiettivo di formare persone che, come Lui, vedano nell’impresa la logica realizzazione della loro preparazione. Questo forse già accade per alcune discipline, specialmente in ambito ingegneristico. Poco o nulla è stato fatto in questo senso in biomedicina che invece ha tutte le potenzialità per diventare un punto trainante dello sviluppo.

Il Patto firmato con Confindustria prevede di costruire una Mappa delle Competenze presenti all’interno del CNR. Si avrà così un primo importante strumento per individuare le specializzazioni richiamate dalle nuove politiche di Europa 2020. Ma la via principe rimane quella del dialogo costante per creare una mentalità in cui “spin-off” e collaborazioni con le imprese.

Giorgio Squinzi, Presidente di Confindustria – e Luigi Nicolais – Presidente del CNR- sono concordi nel sottolineare che questo Patto è anche un invito per il futuro Governo a sostenere, senza alcuna incertezza, un modello di sviluppo costruito sulla conoscenza, l’unico capace di assicurare al paese un futuro migliore. Ci auguriamo che il nuovo governo ascolti questa esigenza portata avanti dalla società civile.

Confindustria e Cnr insieme per il futuro dell'Italia

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