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In questi ultimi giorni, lo spread tra le nuove emissioni di titoli di Stato italiani e tedeschi resta relativamente basso: sui 300 punti base, rispetto ai 200 punti di base che, secondo stime della Banca d’Italia elaborate alcuni mesi fa, sarebbe “appropriato” alla luce delle differenze in materia di finanza pubblica, produttività e prospettive di crescita di medio periodo.

Siamo molto lontani dalla settimane in cui lo spread superava i 500 punti di base e i giorni in cui, varcata la soglia dei 600 punti di base minacciava di tendere ai 700 punti di base, mettendo a repentaglio gran parte della politica di risanamento finanziario dell’ultimo anno.

Eppure la situazione economica e politica italiana non è sostanzialmente migliorata rispetto ad alcuni mesi fa: la recessione continuerà sino alla seconda metà del 2013 e, successivamente, la ripresa si profila molto lenta (circa lo 0,33% l’anno), il quadro politico appare quanto mai incerto, la legge di stabilità viene approvata all’ultimo minuto e con un vero e proprio labirinto di norme particolaristiche.

Non è migliore il quadro europeo: i PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) continuano ad avere i loro guai, la Germania è in fase di rallentamento, si preannuncia una recessione in Francia e la minaccia del Regno Unito di un referendum per uscire dall’Unione europea (Ue). Come mai, in questo quadro, lo spread ‘resta immobile’, per dirla secondo un celebre passaggio del rossiniano Guillaume Tell?

In questi ultimi giorni, in Banca d’Italia, sono stati presentati lavori, ancora inediti, di un economista americano (Anton Braun) e di economisti giapponesi (Tomoyuki Nakajima, Takeo Hoshi e Takatoshi Ito) che, pur affrontando temi differenti, aiutano a individuare le determinanti possibili.

Il primo dei due lavori affronta le ragioni per cui in molti casi c’è un lasso di tempo lungo prima che a fronte di un alto debito pubblico si avverta l’inflazione (anche se, quando l’inflazione arriva, può avere una rapida impennata).

Il secondo esamina come mai i titoli di Stato siano ancora appetibili (e abbiano rendimenti bassi) nonostante un stock di debito pubblico pari al doppio del Pil e le prospettive demografiche e di erosione dei risparmi privati inducono a prevedere una massiccia insolvenza attorno al 2023 (ossia tra dieci anni). In un’unione monetaria, lo spread è il rovescio della medaglia di questi fenomeni.

Ambedue i lavori pongono l’accento sul ruolo che l’informazione ha nel forgiare aspettative (di tenuta della situazione economica e finanziaria nonostante un alto debito pubblico). Quando queste aspettative cambiano, soprattutto se cambiano repentemente, la svolta (verso un’inflazione elevata o il timore di insolvenza) può essere brusca.

Lo spread è uscito dalle prime pagine dei giornali e dei titoli di testa dei telegiornali in gran misura a causa dell’aggravarsi del confronto politico. Gli stessi severi problemi europei hanno ceduto il passo, nei media italiani, alla politica interna.

Per un processo di “casuazione circolare” (ossia di determinanti che si rafforzano a vicenda), ciò de-enfatizza l’attenzione sullo spread e lo tiene a livelli “appropriati”. Con il rischio però di farlo schizzare non appena, per un motivo o per un altro, c’è una svolta (in peggio) nelle aspettative.

Vi spiego perché Mr Spread resta immobile

In questi ultimi giorni, lo spread tra le nuove emissioni di titoli di Stato italiani e tedeschi resta relativamente basso: sui 300 punti base, rispetto ai 200 punti di base che, secondo stime della Banca d’Italia elaborate alcuni mesi fa, sarebbe “appropriato” alla luce delle differenze in materia di finanza pubblica, produttività e prospettive di crescita di medio periodo. Siamo…

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