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Non si è fatta attendere la “vendetta” del terrorismo islamico per la guerra francese in Mali. Un commando armato ha preso d’assalto ieri mattina all’alba un campo petrolifero algerino della Sonatrach, dove lavora insieme alla britannica Bp e alla norvegese Statoil, nella zona di In Amenas, a un centinaio di chilometri dalla frontiera libica. E ha preso in ostaggio 41 stranieri di diverse nazionalità: nell’operazione sono morti un britannico e un algerino, sei persone – tre stranieri e tre algerini delle forze di sicurezza – sono rimaste ferite. Non ci sono italiani coinvolti, ha rassicurato la Farnesina.

L’emiro che ha pianificato ieri l’assalto, Moctar Belmoctar, ex capo di una brigata di Al Qaida del Maghreb Islamico vicino al Mujao, ha rivendicato il sequestro di 41 stranieri (tra cui “sette americani, due francesi, dei britannici e dei giapponesi”) spiegando d’aver voluto punire l’Algeria per l’ok dato al sorvolo dei Rafale che dalla Francia raggiungono il Mali. Più tardi, in una comunicato diffuso in serata in Mauritania, il gruppo islamico che si è attribuito la paternità del sequestro ha reclamato come “prima richiesta la fine della crociata francese e dell’aggressione al Mali”. “Il nostro attacco è la risposta alla Crociata” di Parigi, hanno insistito i firmatari della nota, affermando inoltre di aver respinto un tentativo di blitz.

I rapitori – che nel comunicato sostengono di agire nel quadro’della campagna mondiale di lotta contro ebrei e crociati – avevano chiesto fin dalle ore precedenti in cambio del rilascio degli stranieri che siano liberati detenuti islamici reclusi nelle carceri algerine, cosa che appare difficilmente praticabile perché l’Algeria ha come dogma la linea dura con i terroristi. Come sta accadendo per i tre diplomatici algerini rapiti a Gao del Mujao, sui quali l’intransigenza di Algeri è netta, come ha ribadito lo stesso ministro dell’Interno, Dahou Ould Kablia. Per il resto domina una grande confusione alimentata da notizie che, venendo anche da molto lontano dall’Algeria, hanno ingarbugliato la vicenda.

Tutto è cominciato alle 5 del mattino di ieri, quando un gruppo di terroristi armati appartenenti a una brigata islamica nuova di zecca (Mouwaghina Bi Dina, cioè “quelli che firmano con il sangue”), è arrivato a bordo di tre fuoristrada vicino al sito petrolifero di Tigantourine, con l’obiettivo di sequestrare dei lavoratori stranieri del campo che, su un pulmino, stavano raggiungendo il vicino aeroporto di In Amenas. Il tentativo è fallito e i terroristi hanno cambiato programma, tornando verso Tigantourine e attaccando il campo dove lavora la Sonatrach, insieme alla britannica Bp e alla norvegese Statoil (inglesi e norvegesi costituiscono la maggioranza dei rapiti). È da questo momento che la ricostruzione appare difficile, ad eccezione del fatto che, nella sparatoria che è  seguita, ci sono stati morti e feriti. Se la prima ricostruzione del ministero dell’Interno algerino dava sequestratori e ostaggi in fuga, le parole di uno dei tanti portavoce delle “brigate islamiche” facevano capire tutto il contrario: che gli ostaggi erano ancora prigionieri nel campo dove ci sarebbe, oltre ai pochi subito lasciati andare, anche un centinaio di impiegati algerini cui è data libertà di muoversi – a differenza degli ostaggi stranieri controllati a vista -, ma non di uscire dall’impianto.

Il ministro dell’Interno algerino ha inoltre riferito che il sito è accerchiato da esercito e forze di sicurezza e che i sequestratori non provengono ne’ dal Mali, né dalla Libia, ma che sono originari dell’Algeria.

Su questa storia intricata si staglia la figura di Moctar Belmoctar, oggi emiro della katibat di “quelli che firmano col sangue”, ma fino a pochi mesi fa capo della più sanguinaria brigata di Aqmi, i “portatori di turbante”. Da Aqmi era stato dimissionato per volere del capo, l’emiro Droukdel, cui non piaceva la sua autonomia e, soprattutto, la deriva militarista che aveva imposto ai suoi. Tanto che, cacciato da Aqmi, ha raggiunto Gao, dove comandano i miliziani del Mujao, mettendo a loro disposizione il suo fanatismo e la sua ferocia.

Ansa

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